"Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione" (Es 20,5).
Ancor oggi si cita abitualmente quest'emistichio tratto dai dieci comandamenti come una prova evidente del cosiddetto "Dio vendicativo" degli ebrei, un Dio che non solo punisce senza pietà, ma punisce anche la "colpa ereditaria" nei figli dei figli dei peccatori. Questa svalutazione della fede ebraica, che rinasce continuamente a nuova vita, si fonda su due errori oggettivi. Anzitutto, si dovrebbe citare l'intera frase, poiché la sottolineatura fondamentale si trova nel suo secondo emistichio:
"...per i figli di coloro che mi odiano, ma che dimostra misericordia alle molte migliaia che mi amano e osservano i miei comandi".
Si tratta quindi di una sottolineatura dell'amore gratuito di Dio, che è molto più comprensivo e traboccante della sua giustizia, la quale, in questo caso, riguarda non i peccatori occasionali, bensì coloro che "odiano Dio", quindi i malvagi, che infrangono tutte le principali norme morali.
Il secondo errore consiste in un'errata interpretazione del verbo pahad, che persino nei dizionari viene inteso come sinonimo di "punire" o "colpire". Così, ad esempio, in "Die Gute Nachricht" la frase tratta dai dieci comandamenti viene tradotta: "io punisco perciò anche i suoi figli, persino i suoi nipoti e pronipoti".
Un'analisi semantica del verbo pahad permette invece di affermare, come constata anche Joseph Scharbert della Commissione Cattolica che ha collaborato alla Einheitsubersetzung, che "pochi passi dell'Antico Testamento sono stati tradotti peggio di questo".
Il verbo ebraico significa anzitutto "Verificare esattamente qualcosa, considerare attentamente, perseguire esattamente una cosa". Ma, quando si tratta di una verifica in sede di giudizio, il risultato della stessa può essere sia positivo sia negativo. In riferimento a Dio si parla per lo più di "Visitare, esaminare, ricordare" e può trattarsi di una "Visita" punitiva, come, per esempio, nel caso dell'orgoglio (Is 10,12) della città di Tiro (Is 23,17) o di Gerusalemme (Ger 6,6). Ma questa «Visita» può dimostrarsi anche fonte di benedizione come, per esempio: nel caso di Sara (Gen 21,1s), alla quale viene donato un figlio; nel caso di Anna, che ha potuto diventare madre di Samuele e di altri cinque figli (Sam 2,21); nel caso dei fratelli di Giuseppe, ai quali viene fatta questa promessa: "Dio verrà certo a visitarvi" (Gen 50,24); e nel caso dei deportati a Babilonia ai quali Geremia promette: "Dio vi visiterà e adempirà per voi la sua parola di grazia". Così anche in Luca la folla, dopo la risurrezione dei figlio della vedova di Nain, "glorifica Dio dicendo: Un grande profeta (Gesù) è sorto fra noi e Dio ha visitato il suo popolo". (Le 1,44). Infine, non a caso, la festa cattolica che ricorda la visita di Maria incinta ad Elisabetta, quando "il bambino esultò di gioia nel suo grembo", viene chiamata "Visitazione di Maria", come segno della grazia concessa a Maria. Per rendere giustizia all'ambivalenza di questo verbo, Margarethe Susman ha scritto:
"Dio visita il suo popolo, lo visita per condurlo a sé".
Ciò può essere convincente dal punto di vista teologico, ma non rende assolutamente ragione dei tre passi classici della visitazione (Es 20,5; 34,7; Dt 5,9). Qui si tratta infatti, come chiarisce il contesto, di un "verificare attentamente, esaminare una cosa"; di "chiamare a rendere ragione" i peccatori in caso di ricaduta o mancanza di pentimento. Così, anche nella prima stampa ad experimentum della Einheitsubersetzung si diceva molto giustamente:
"Egli esamina la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli".
Ciò significa che Dio non applica assolutamente una punizione collettiva alla discendenza di un peccatore, ma che attende a lungo - è quindi "pietoso, lento all'ira e pieno di grazia" (Es 34,7) - e osserva se il peccato dei padri continua anche presso i loro figli e nipoti, trovando in loro degli imitatori nel senso del cattivo esempio, o se i discendenti hanno preso le distanze dai peccati dei loro padri. Solo se i discendenti peccano come hanno fatto i loro padri Dio interviene e punisce. Purtroppo, al momento della revisione finale della Einheitsubersetzung si è giunti, dopo un lungo dibattito, a una soluzione di compromesso volutamente equivoca:
"Egli persegue la colpa dei padri nei figli nella terza e quarta generazione". (Es 20,5).
"Perseguire" può essere inteso sia nel senso di procedimento a livello di diritto penale, sia nel senso di un'attenta continua considerazione del comportamento morale delle future generazioni. Ma ciò che qui gioca a prima vista per la nostra attuale generazione post-bellica è l'eco vendicativa di una caccia all'uomo per punirlo, sottometterlo o persino ucciderlo. È una nota sbagliata, che non corrisponde al testo originale, ma lede purtroppo l'immagine ebraica di Dio.