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Lo Specchio della Mortalità: Come le Antiche Dottrine di Saggezza usavano la Morte per Purificare l'Anima


Nel turbine incessante della vita moderna, l'idea di contemplare la propria mortalità può sembrare macabra o, nel migliore dei casi, un esercizio di malinconia. Eppure, per millenni, le più profonde tradizioni filosofiche e religiose del mondo hanno abbracciato la morte non come una fine da temere, ma come uno specchio potente in cui riflettere la vera natura dell'esistenza, purificando l'anima da egoismo, vanità e ipocrisia. Questo articolo esplora come diverse dottrine antiche abbiano praticato questa forma di meditazione, i loro scopi e le metodologie impiegate.


1. Lo Stoicismo: La Morte come Maestra di Virtù e Libertà

Concezione: Per gli Stoici dell'antica Grecia e Roma, la morte non era un evento da evitare, ma una parte naturale e inevitabile del logos universale, l'ordine razionale del cosmo. La loro filosofia era profondamente radicata nella comprensione che tutto ciò che è al di fuori del nostro controllo – inclusa la vita e la morte – non dovrebbe turbarci. La vera libertà risiede nell'accettazione di questa realtà e nella concentrazione su ciò che è in nostro potere: i nostri giudizi, le nostre reazioni e le nostre virtù.

Scopo: La contemplazione della morte, o meditatio mortis, era uno strumento essenziale per raggiungere l'atarassia (imperturbabilità) e l'apatia (assenza di passioni irrazionali). Praticandola, gli Stoici miravano a:

  • Ridurre l'attaccamento: Comprendendo la caducità di beni materiali, fama, piacere e persino delle persone amate, si liberavano dalla schiavitù delle passioni e dei desideri effimeri.

  • Promuovere la virtù: La consapevolezza della brevità della vita li spingeva a vivere ogni giorno con saggezza, giustizia, coraggio e temperanza, poiché il tempo per agire virtuosamente è limitato.

  • Contrastare egoismo e vanità: La morte livella tutti. Ricordare che anche i più potenti e ricchi finiranno in polvere era un potente antidoto all'orgoglio e alla presunzione.

Come si praticava: La meditatio mortis non era una meditazione statica nel senso moderno, ma un esercizio mentale costante e una forma di "premeditazione dei mali" (premeditatio malorum).

  • Visualizzazione: Gli Stoici si impegnavano in esercizi mentali in cui visualizzavano la perdita di persone care, la propria malattia o la propria morte. Seneca, ad esempio, suggeriva di immaginare la propria morte ogni giorno.

  • Riflessione quotidiana: Attraverso la lettura e la riflessione sui testi dei maestri (come Epitteto o Marco Aurelio), interiorizzavano l'idea dell'impermanenza.

  • Accettazione: Il culmine della pratica era l'accettazione serena e razionale della morte come parte ineludibile della vita, che portava a una profonda pace interiore e a una maggiore apprezzazione del presente.


2. Il Buddhismo: L'Impermanenza come Via per la Liberazione dal Sé

Concezione: Nel Buddhismo, la dottrina dell'impermanenza (anicca) è una delle tre caratteristiche fondamentali dell'esistenza, insieme all'insoddisfazione (dukkha) e al non-sé (anatta). La morte è l'espressione ultima dell'impermanenza di tutte le cose condizionate. La comprensione profonda di questa realtà è essenziale per liberarsi dalla sofferenza.

Scopo: La contemplazione della morte nel Buddhismo ha scopi profondamente trasformativi:

  • Superamento dell'attaccamento al sé: Meditando sulla decomposizione del corpo e sulla natura transitoria dell'identità, si erode l'illusione di un sé permanente e separato, che è la radice dell'egoismo e dell'avidità.

  • Generazione di urgenza spirituale: La consapevolezza della morte imminente motiva il praticante a intensificare la propria pratica spirituale, a non sprecare tempo prezioso e a coltivare saggezza e compassione.

  • Sviluppo del distacco: Vedere la morte come un processo naturale aiuta a distaccarsi dalle illusioni e dalle afflizioni mentali (come desiderio, avversione, ignoranza) che causano sofferenza.

Come si praticava: Le pratiche di contemplazione della morte sono varie e spesso molto dirette:

  • Meditazione sui cadaveri (maraṇasati): Una pratica antica, particolarmente presente nel Buddhismo Theravada, che coinvolgeva la visita a cimiteri o luoghi di cremazione per osservare i corpi in vari stadi di decomposizione. L'obiettivo non era di provare orrore, ma di riconoscere la natura effimera del corpo e di sviluppare un senso di distacco.

  • Visualizzazioni: I praticanti visualizzano il proprio corpo che invecchia, si ammala e muore, o immaginano la propria morte e la dissoluzione degli elementi del corpo.

  • Riflessione quotidiana: Si riflette costantemente sulla certezza della morte e sull'incertezza del momento in cui avverrà, ponendosi domande come: "Quanto tempo mi rimane?", "Cosa farò con il mio tempo?".

  • Meditazione sulla gentilezza amorevole (metta): Spesso abbinata alla contemplazione della morte, per sviluppare compassione verso tutti gli esseri, riconoscendo la loro comune vulnerabilità alla morte e alla sofferenza.


3. Il Cristianesimo: Il "Memento Mori" e la Redenzione dell'Anima

Concezione: Nel Cristianesimo, la morte è vista sia come conseguenza del peccato originale sia come passaggio verso la vita eterna. Sebbene la morte fisica sia una realtà, la fede offre la promessa della risurrezione e della vita dopo la morte. Il "memento mori" (ricorda che devi morire) non è un invito alla disperazione, ma un richiamo alla penitenza e alla preparazione per l'incontro con Dio.

Scopo: La contemplazione della morte nella tradizione cristiana ha scopi profondamente spirituali ed etici:

  • Umiltà e distacco dai beni terreni: Ricordare la propria mortalità aiuta a riconoscere la vanità delle ricchezze, del potere e della fama terrena, promuovendo un atteggiamento di umiltà e distacco.

  • Penitenza e conversione: La consapevolezza della morte imminente spinge il credente a esaminare la propria vita, a pentirsi dei peccati e a cercare la riconciliazione con Dio.

  • Amore per Dio e il prossimo: Comprendere la brevità della vita terrena incoraggia a investire nelle relazioni eterne e nell'amore caritatevole, che è l'unica cosa che si porta con sé nell'aldilà.

  • Combattere l'orgoglio e l'ipocrisia: La morte rivela la vera condizione dell'anima, spogliando ogni pretesa e maschera.

Come si praticava: Il "memento mori" era integrato nella vita quotidiana e spirituale:

  • Iconografia e simbolismo: Teschi, clessidre e rappresentazioni di scheletri erano comuni nell'arte e nell'architettura medievale, servendo da costante promemoria della mortalità.

  • Pratiche monastiche: Monaci e eremiti, in particolare, vivevano in povertà e austerità, spesso con oggetti che ricordavano la morte (come un teschio sulla scrivania), per mantenere viva la consapevolezza della caducità.

  • Preghiera e meditazione: La preghiera sui Salmi, la meditazione sulla Passione di Cristo e sulle vite dei santi martiri (che affrontarono la morte con fede) erano modi per interiorizzare il significato della mortalità e della redenzione.

  • Preparazione ai Sacramenti: La confessione e la comunione erano viste come preparazioni essenziali per una "buona morte".


4. Induismo e Yoga: L'Illusione del Mondo e la Realizzazione del Sé Superiore

Concezione: Nelle filosofie induiste e yogiche, il mondo fenomenico (samsara) è spesso considerato maya, un'illusione transitoria e in costante cambiamento. La morte è una parte integrante del ciclo di nascita, morte e rinascita (karma e reincarnazione). L'obiettivo ultimo è la liberazione (moksha) da questo ciclo, attraverso la realizzazione della vera natura del Sé (Atman) come identico al Brahman (la realtà ultima).

Scopo: Sebbene non ci sia una pratica specifica e diffusa di "meditazione sui cadaveri" come nel Buddhismo, la consapevolezza dell'impermanenza e della natura illusoria del mondo materiale è fondamentale:

  • Sviluppo del vairagya (non attaccamento): Comprendere che tutto ciò che è materiale è effimero porta al distacco dai desideri e dalle possessioni, riducendo l'avidità e l'egoismo.

  • Superamento dell'ego (ahamkara): La riflessione sulla transitorietà della vita e del corpo aiuta a dissolvere l'identificazione con l'ego individuale, che è la fonte di orgoglio, vanità e separazione.

  • Ricerca della verità eterna: La consapevolezza della morte spinge il praticante a cercare ciò che è permanente e immutabile, ovvero il Sé spirituale, portando alla liberazione.

Come si praticava: La consapevolezza dell'impermanenza è integrata in diverse pratiche:

  • Meditazione (dhyana): Attraverso la meditazione profonda, i praticanti cercano di trascendere la mente e i sensi, sperimentando la natura eterna del Sé al di là del corpo mortale.

  • Studio delle Scritture (svadhyaya): Lo studio di testi come le Upanishad o la Bhagavad Gita, che discutono la natura dell'anima, del karma e della liberazione, rafforza la comprensione dell'impermanenza del mondo.

  • Pratiche di Yoga e Pranayama: Queste pratiche fisiche e respiratorie sono intese a purificare il corpo e la mente, rendendoli strumenti più efficaci per la realizzazione spirituale e il distacco.

  • Devozione (bhakti): Per molti, la devozione a una divinità aiuta a trascendere l'ego e a concentrarsi su qualcosa di più grande di sé, accettando la volontà divina, inclusa la morte.


Conclusione

Le antiche tradizioni, pur con le loro specificità dottrinali, convergono su un punto fondamentale: la contemplazione della morte non è una pratica morbosa, ma un potente catalizzatore per la crescita spirituale e la purificazione interiore. Che si tratti della fredda ragione stoica, della profonda consapevolezza buddhista, della fede redentrice cristiana o della ricerca dell'eterno nell'induismo, il ricordo della nostra mortalità ci invita a vivere con maggiore autenticità, compassione e libertà, spogliandoci delle illusioni che alimentano l'egoismo, la vanità e l'ipocrisia. È uno specchio che, se guardato con coraggio, rivela non la fine, ma l'inizio di una vita più piena e significativa.


La meditazione sulla morte, o contemplazione della propria mortalità, ha un profondo impatto psicologico che può efficacemente ridurre egoismo, narcisismo e ipocrisia. Questo avviene attraverso diversi meccanismi:


1. Riduzione dell'Attaccamento e del Senso di Grande Importanza Personale (Antidoto al Narcisismo)

  • Rappresentazione dell'Insiginficanza: Il narcisismo è caratterizzato da un senso grandioso di sé, un bisogno eccessivo di ammirazione e una mancanza di empatia. La meditazione sulla morte confronta il praticante con la sua effimera esistenza. Di fronte all'immensità del tempo e dell'universo, la vita individuale appare breve e insignificante. Questo ridimensionamento può minare l'illusione di essere speciali o immortali, che è alla base del narcisismo.

  • Decentramento dell'Io: Pensare alla propria decomposizione o alla propria assenza futura sposta l'attenzione dall'Io e dai suoi bisogni immediati. L'individuo è costretto a vedere se stesso come parte di un ciclo più grande, piuttosto che il centro di tutto. Questo favorisce un decentramento psicologico, riducendo l'ossessiva auto-focalizzazione tipica del narcisismo.

  • Perdita di Controllo: Il narcisista cerca di controllare gli altri e le situazioni per mantenere la propria immagine. La morte è l'evento per eccellenza in cui ogni controllo è perduto. Accettare questa inevitabile perdita di controllo può aiutare a mollare la presa su ciò che non è controllabile nella vita, inclusa l'opinione degli altri, che spesso è una fonte primaria di ansia per il narcisista.


2. Aumento dell'Empatia e della Compassione (Antidoto all'Egoismo)

  • Identificazione con l'Altro: La contemplazione della morte non riguarda solo la propria mortalità, ma anche quella di tutti gli esseri viventi. Realizzare che ogni persona, amico o nemico, condivide lo stesso destino finale – la morte e la sofferenza – crea un senso di comune umanità. Questa universalità della sofferenza e della finitudine può generare empatia e compassione.

  • Valorizzazione delle Relazioni: Sapere che il tempo con gli altri è limitato rende le relazioni più preziose. L'egoismo spesso porta a dare per scontate le persone o a usarle per i propri scopi. La meditazione sulla morte può incentivare a investire più autenticamente nelle relazioni, a perdonare, a esprimere affetto e gratitudine, riducendo l'atteggiamento transazionale ed egoistico.

  • Riduzione dell'Attaccamento Materiale: L'egoismo è spesso legato all'accumulo di beni o potere. Se la morte rende tutto ciò effimero, l'individuo è meno propenso ad aggrapparsi a cose materiali e più incline a condividere o a non dare eccessivo valore a ciò che è destinato a perire. Questo distacco può liberare risorse emotive e materiali da dedicare agli altri.


3. Promozione dell'Autenticità e della Coerenza (Antidoto all'Ipocrisia)

  • Priorità e Valori Reali: L'ipocrisia nasce spesso dalla discrepanza tra ciò che si mostra e ciò che si è veramente, o tra ciò che si dice e ciò che si fa. Questa discrepanza è alimentata dalla ricerca dell'approvazione esterna, dalla paura del giudizio o dal desiderio di manipolare. La consapevolezza della morte obbliga a una riconsiderazione delle priorità. "Se morissi domani, avrei rimpianti? Avrei vissuto in linea con i miei veri valori?". Questa domanda spinge a una maggiore coerenza e autenticità.

  • Superamento della Paura del Giudizio: Se si è confrontati con la fine ultima, il giudizio degli altri (che è alla base di molta ipocrisia) perde di rilevanza. Ciò che conta diventa l'integrità personale e la coerenza con il proprio Sé più profondo. Questo può liberare l'individuo dalla necessità di "recitare un ruolo" per gli altri.

  • Riflessione sull'Eredità: Molte persone ipocrite cercano di lasciare un'immagine positiva di sé, anche se non corrisponde alla realtà. La meditazione sulla morte può spostare l'attenzione dalla "fama" alla "eredità" autentica. Cosa si vuole lasciare veramente? Che tipo di persona si vuole essere ricordata? Questo spinge a un comportamento più etico e allineato con i propri principi, piuttosto che con le apparenze.

  • Consapevolezza dell'Incoerenza: La riflessione sulla propria fine può portare a una maggiore introspezione e alla scoperta delle proprie incoerenze. Vedere che il tempo è limitato rende l'idea di vivere in modo inautentico un vero spreco. Questa presa di coscienza è il primo passo per un cambiamento verso una maggiore onestà con se stessi e con gli altri.


4. Gestione dell'Ansia Esistenziale (Terapia dell'Accettazione e dell'Impegno - ACT)

Dal punto di vista della psicologia moderna, in particolare della Terapia dell'Accettazione e dell'Impegno (ACT), la contemplazione della mortalità rientra in pratiche di accettazione radicale. L'ACT suggerisce che molta sofferenza deriva dal tentare di controllare o evitare esperienze interne spiacevoli (pensieri, emozioni). La paura della morte è una delle ansie esistenziali più profonde.

  • Accettazione: Invece di negare o rimuovere la consapevolezza della morte, la meditazione incoraggia l'accettazione. Accettare la mortalità non significa rassegnarsi passivamente, ma riconoscere la realtà della condizione umana. Questa accettazione riduce la lotta interna e libera energia mentale che altrimenti verrebbe spesa per difese psicologiche (come negazione, grandiosità o disprezzo degli altri).

  • Defusione Cognitiva: La meditazione aiuta a vedere i pensieri sulla morte non come minacce assolute, ma come semplici eventi mentali. Questo permette di defondersi da pensieri ansiogeni e di non esserne controllati.

  • Chiarimento dei Valori e Impegno all'Azione: Una volta accettata la mortalità, l'ACT incoraggia a identificare cosa sia veramente importante nella vita (i propri valori) e ad agire in modo coerente con essi. La consapevolezza della fine imminente può accelerare questo processo, spingendo a vivere una vita più ricca e significativa, concentrandosi su ciò che conta davvero piuttosto che su desideri egoistici o superficiali.

In sintesi, la meditazione sulla morte agisce come un potente catalizzatore psicologico che smantella le difese dell'ego, aumenta la consapevolezza e spinge verso una vita più autentica, altruista e compassionevole, perché ci confronta con la verità universale della nostra finitudine e ci invita a valorizzare ciò che è veramente duraturo. 

George Ivanovich Gurdjieff, filosofo, mistico e maestro spirituale, poneva grande enfasi sull'esercizio di sentire la propria mortalità con tutta la propria totalità. Per Gurdjieff, questa pratica non era un mero esercizio intellettuale sulla caducità della vita, ma un'esperienza profonda e viscerale, capace di purificare l'individuo da quelle scorie psicologiche che impediscono un'autentica crescita interiore. Gurdjieff non proponeva un semplice "pensare alla morte", ma un sentire con tutta la propria totalità. Questo implica un coinvolgimento non solo mentale, ma anche emotivo e fisico. Si trattava di portare la consapevolezza della morte in ogni cellula del proprio essere, in ogni azione, in ogni respiro. Non era un esercizio morboso, ma un mezzo per intensificare la vita, per apprezzare ogni istante e per agire con maggiore presenza e scopo. Attraverso questa pratica, l'individuo era spinto a confrontarsi con le proprie paure più profonde, a superare le illusioni e a risvegliare un senso di gratitudine per l'esistenza. Invece di vivere in un'automatismo meccanico, si acquisiva la capacità di vivere con una consapevolezza accresciuta, rendendo ogni momento prezioso e significativo. In sintesi, per Gurdjieff, la consapevolezza profonda della propria mortalità non era un'attività nichilista, ma una via maestra per la trasformazione interiore, liberando l'individuo dai risultati dell'organo Kundabuffer e permettendogli di accedere a una dimensione più autentica e significativa dell'esistenza. Il concetto di consapevolezza della mortalità e la sua importanza per la purificazione spirituale sono profondamente radicati nell'Islam, in particolare nelle tradizioni mistiche e spirituali come il Sufismo. Anche se le terminologie possono differire, l'essenza è molto simile a quella descritta da Gurdjieff. Nell'Islam, l'intera esistenza è vista come un viaggio verso Allah (Dio), e la morte non è la fine, ma un passaggio inevitabile verso l'aldilà e il Giorno del Giudizio. Questa prospettiva intrinseca alla fede musulmana incoraggia naturalmente una riflessione costante sulla propria mortalità. Ecco alcuni punti chiave che illustrano la pratica e il significato di "sentire la mortalità" nell'Islam:


1. Il Corano e gli Hadith sulla Morte

Il Corano, il libro sacro dell'Islam, ribadisce più volte che "ogni anima gusterà la morte" (Corano 3:185; 21:35; 29:57). Questo versetto fondamentale sottolinea l'universalità e l'inevitabilità della morte, invitando i credenti a non attaccarsi eccessivamente alla vita terrena. Numerosi Hadith (detti e insegnamenti del Profeta Muhammad, pace su di lui) enfatizzano il ricordo della morte (Dhikr al-Mawt). Ad esempio, è famoso l'Hadith in cui il Profeta dice: "Ricordate spesso ciò che distrugge i piaceri: la morte". Questo non è inteso come un invito alla depressione, ma come uno stimolo a:

  • Ridimensionare i desideri mondani: La consapevolezza che tutto ciò che si possiede in questa vita è temporaneo aiuta a distaccarsi dalle vanità e dalle ambizioni eccessive.

  • Prepararsi per l'aldilà: Sapere che la morte è imminente spinge a compiere buone azioni, a pentirsi dei peccati e a cercare il perdono di Dio, poiché la vita dopo la morte è eterna.

  • Purificazione del cuore: Il ricordo della morte aiuta a smascherare l'ipocrisia, l'orgoglio (kibr) e l'egoismo (nafs), spingendo l'individuo a una maggiore umiltà e sincerità.


2. "Morire prima di morire" nel Sufismo

Questa frase, attribuita al Profeta Muhammad ("Morite prima di morire"), è un concetto cardine nel Sufismo, la dimensione mistica dell'Islam. "Morire prima di morire" significa subire una trasformazione spirituale profonda durante la vita terrena, un'annientamento dell'ego (fana') per raggiungere uno stato di unione con il Divino (baqa').

Questo processo di "morte" simbolica implica:

  • Abbandono delle passioni egoistiche: Simile alla purificazione descritta da Gurdjieff, il sufi cerca di liberarsi dall'attaccamento ai desideri carnali, alla ricchezza, al potere e alla fama.

  • Sottomissione alla Volontà Divina: Morire al proprio ego significa arrendersi completamente a Dio, accettando il Suo decreto e cercando di vivere in armonia con i Suoi comandamenti.

  • Sviluppo delle virtù: Con l'annientamento dell'ego, emergono le qualità divine nell'individuo, come la compassione, la generosità, la pazienza e l'amore disinteressato.


3. Pratiche Meditative (Muraqaba e Tafakkur)

Nel Sufismo, esistono pratiche contemplative che mirano a sviluppare questa consapevolezza profonda della morte e della transitorietà.

  • Muraqaba (Meditazione): Spesso tradotta come "meditazione" o "osservazione", la Muraqaba implica una profonda contemplazione. Una delle forme di Muraqaba può essere focalizzata sulla consapevolezza della morte, immaginando il proprio funerale, la tomba, e il Giorno del Giudizio. Questo non è per spaventare, ma per generare un senso di urgenza spirituale e purificare il cuore dalle illusioni.

  • Tafakkur (Riflessione/Contemplazione): Il Tafakkur è la pratica di riflettere profondamente sui segni di Dio nella creazione e sulla propria esistenza, inclusa la propria mortalità. Pensare alla propria nascita, alla crescita, all'invecchiamento e alla morte, e come tutto ciò sia parte del piano divino, aiuta a sviluppare un senso di umiltà e gratitudine.


4. Visita ai Cimiteri e Preghiere Funebri

Anche a livello pratico, nell'Islam è incoraggiata la visita ai cimiteri. Questa pratica serve a ricordare la propria fine e a pregare per i defunti. La partecipazione ai riti funebri e la vista di un corpo privo di vita sono potenti promemoria della fragilità dell'esistenza e della certezza della morte. In conclusione, l'Islam, e in particolare la sua tradizione mistica sufi, offre una ricca serie di insegnamenti e pratiche che risuonano fortemente con l'idea di Gurdjieff sul "sentire con tutta la propria totalità la mortalità" come via per la purificazione da egoismo, vanità e ipocrisia. La consapevolezza della morte è vista non come una fonte di angoscia, ma come un catalizzatore per una vita più significativa, autentica e orientata verso l'eterno.




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