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William Stukeley: Stonehenge – Un Tempio Restituito ai Druidi Britannici


Nel vasto panorama della storia dell'archeologia e dell'antiquaria, pochi nomi risplendono con la stessa intensità e complessità di quello di William Stukeley. Vissuto tra la fine del XVII e la metà del XVIII secolo, Stukeley non fu solo un medico e un ecclesiastico, ma anche un pioniere nello studio dei monumenti megalitici britannici. La sua opera più celebre e influente, "Stonehenge: A Temple Restor'd to the British Druids" (1740), non fu un semplice trattato accademico, ma un vero e proprio manifesto che ridefinì la percezione di Stonehenge e, con essa, l'intera comprensione del passato pre-romano della Gran Bretagna.


Il Contesto Storico e Intellettuale

Per comprendere appieno l'impatto del lavoro di Stukeley, è fondamentale inquadrarlo nel suo contesto storico. Il Settecento fu un'epoca di profonde trasformazioni intellettuali. L'Illuminismo stava spingendo l'Europa verso una maggiore razionalità e un'indagine più empirica del mondo. Tuttavia, persistevano anche forti correnti di pensiero romantico e un'intensa fascinazione per l'antichità, spesso mescolata a speculazioni quasi mistiche. La Gran Bretagna, in particolare, era animata da un crescente interesse per la propria identità nazionale, che si rifletteva nella ricerca delle proprie origini più remote.

Prima di Stukeley, Stonehenge era già oggetto di curiosità e dibattito. Le sue gigantesche pietre, disposte in una configurazione enigmatica, avevano dato origine a svariate teorie, alcune delle quali attribuivano la sua costruzione a giganti, ai Romani, o persino al mago Merlino. Mancava, tuttavia, un approccio sistematico e una metodologia che potesse superare le mere congetture.


La Nascita di un Nuovo Approccio

Stukeley, con la sua formazione medica e la sua acuta osservazione naturalistica, portò un approccio rivoluzionario. Abbracciò i principi della topografia e della misurazione accurata, realizzando mappe dettagliate e rilievi precisi di Stonehenge e del suo paesaggio circostante. Per anni, a partire dal 1718, si dedicò a un'instancabile attività di studio sul campo, documentando non solo le pietre, ma anche i terrapieni, le fosse e altri elementi del sito che altri avevano ignorato. Fu tra i primi a riconoscere l'importanza del cursus, un lungo recinto parallelo nelle vicinanze, e a suggerire una connessione tra Stonehenge e i vicini siti di Avebury.

Questa metodologia, basata sull'osservazione diretta e sulla documentazione, pose le basi per quella che in seguito sarebbe diventata l'archeologia moderna. Stukeley non si limitò a guardare, ma cercò di interpretare le evidenze fisiche con una rigorosa attenzione ai dettagli. Le sue illustrazioni, spesso finemente incise, non erano solo rappresentazioni artistiche, ma veri e propri disegni tecnici che intendevano catturare le proporzioni e le relazioni spaziali dei monumenti.


I Druidi di Stukeley

Nonostante l'approccio scientifico alle misurazioni, la conclusione più celebre e, a posteriori, controversa di Stukeley fu l'attribuzione di Stonehenge ai Druidi. Questa teoria non era interamente frutto di un'analisi empirica, ma piuttosto una complessa sintesi di osservazioni archeologiche, fonti classiche e, significativamente, le sue convinzioni personali e religiose. Stukeley era un uomo profondamente devoto e un fervente sostenitore di una forma di cristianesimo che vedeva armonia tra la ragione e la rivelazione divina. Credeva che i Druidi fossero i sacerdoti di una religione monoteistica primitiva, un "cristianesimo ante litteram", che aveva preceduto la venuta di Cristo. Vedeva in Stonehenge non un mero luogo di sepoltura o un tempio di divinità pagane, ma un tempio astronomico, un luogo di culto e osservazione celeste dove i Druidi praticavano una religione pura e naturale, in sintonia con l'ordine divino dell'universo. Le fonti classiche su cui si basava, come quelle di Giulio Cesare e Plinio il Vecchio, descrivevano i Druidi come una classe sacerdotale e filosofica con un profondo interesse per la natura e gli astri. Stukeley intrecciò queste descrizioni con le sue scoperte a Stonehenge, interpretando gli allineamenti delle pietre con i solstizi e gli equinozi come prova di una sofisticata conoscenza astronomica posseduta dai Druidi. In questo modo, "restituiva" Stonehenge a una tradizione britannica autoctona, conferendole una dignità e un'antichità che rivaleggiavano con le grandi civiltà del Mediterraneo.


L'Eredità di "Stonehenge: A Temple Restor'd to the British Druids"

L'opera di Stukeley ebbe un impatto enorme e duraturo. Sebbene la sua teoria sui Druidi sia stata ampiamente smentita dalle successive scoperte archeologiche (è ora riconosciuto che Stonehenge è molto più antico dell'epoca dei Druidi), il suo contributo non può essere sottovalutato:

  • Pionierismo Metodologico: Stukeley fu un precursore nell'uso sistematico della topografia e della misurazione nell'analisi dei siti antichi. Il suo approccio sul campo e la sua attenzione alla documentazione posero le basi per l'archeologia moderna.

  • Riconoscimento del Contesto: Fu tra i primi a comprendere che i singoli monumenti non potevano essere studiati in isolamento, ma dovevano essere visti come parte di un paesaggio culturale più ampio.

  • Promozione dell'Antiquaria: Il suo lavoro stimolò un'ondata di interesse per i monumenti preistorici in Gran Bretagna, incoraggiando altri studiosi a intraprendere ricerche simili.

  • Impatto Culturale: La sua associazione tra Stonehenge e i Druidi catturò l'immaginazione popolare e contribuì a plasmare l'immagine romantica dei Druidi come antichi sacerdoti saggi e misteriosi, un'immagine che persiste ancora oggi in molte tradizioni neo-pagane.


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