Abbiamo innalzato la scienza a divinità intoccabile, il suo metodo sperimentale a dogma indiscutibile. Per secoli, ci è stato sussurrato, e poi gridato, che questa metodologia rappresenta l'apice della ragione, la via maestra verso una verità oggettiva e incontrovertibile. Ma è giunto il momento di strappare il velo e rivelare ciò che si cela dietro l'imponente facciata: non una roccaforte di conoscenza pura, bensì un fragile castello di carte, costruito su un paradosso ontologico ed epistemologico talmente evidente da risultare grottesco nella sua ostinata negazione. Siamo di fronte non a un progresso, ma a un'autentica fase di accecamento gnoseologico, la più raffinata e perniciosa illusione di tutta la storia del pensiero umano. La tesi centrale che qui si sviluppa è un macigno lanciato contro le fondamenta stesse del sapere scientifico contemporaneo: se i dati sperimentali non hanno significato se non all'interno di un paradigma preesistente, e se un paradigma ha bisogno dei dati sperimentali per stabilirne la correttezza, allora sorge un circolo vizioso insostenibile. I dati stessi possono stabilire il grado di correttezza solo mediante un paradigma che, a sua volta, necessita di essere convalidato dai dati. Questo non è un semplice problema logico; è un paradosso che smaschera l'intera debolezza ontologica ed epistemologica del metodo scientifico.
Il Serpente che si Morde la Coda: Il Paradosso Fondamentale
Ci viene costantemente ribadito che la scienza progredisce grazie all'evidenza empirica. I fatti, i numeri, le misurazioni: queste sarebbero le solide fondamenta su cui erigiamo le nostre teorie. Ma questa narrazione è una favola per bambini. I dati non sono "puri", non esistono in un vuoto intellettuale, pronti per essere raccolti e interpretati in modo neutrale. Al contrario, sono intrinsecamente legati al paradigma che li ha generati e che li rende intellegibili. Pensateci bene: ogni esperimento è progettato secondo specifiche ipotesi, che a loro volta derivano da una cornice teorica più ampia. Gli strumenti di misurazione sono calibrati basandosi su principi teorici. Ciò che scegliamo di misurare, come lo misuriamo, e persino come interpretiamo le anomalie o le "non-risposte" degli esperimenti, è profondamente influenzato dal paradigma dominante. Senza un paradigma, i dati sarebbero solo un rumore caotico, un insieme di punti senza alcun legame significativo. È il paradigma che ci fornisce le lenti attraverso cui "vediamo" il mondo, che ci dice cosa è rilevante e cosa no, che struttura la nostra indagine. Eppure, a questo punto sorge il paradosso più stridente: il paradigma stesso deve essere convalidato dai dati. Come può un sistema auto-referenziale come questo pretendere di produrre una conoscenza "oggettiva" o "vera"? I dati, che sono già infusi e modellati dal paradigma, tornano a convalidare il paradigma che li ha creati. È un incessante auto-conferma, un serpente che si morde la coda all'infinito, presentandoci la sua circolare auto-validazione come una prova di solidità. Non stiamo scoprendo nuove verità, ma riaffermando i nostri presupposti in un ciclo incessante di feedback positivo. Questo circolo vizioso rivela che la scienza non opera in un limbo di oggettività, ma è profondamente immersa in un sistema di credenze, o meglio, di pre-credenze. Non c'è un punto zero da cui partire, una tabula rasa su cui i dati incidono le loro verità incontaminate. Ogni "scoperta" è inevitabilmente una ri-interpretazione o un'espansione all'interno dei confini già stabiliti dal paradigma. Le cosiddette "rivoluzioni scientifiche" non sono una rottura completa con il passato, ma piuttosto un cambio di paradigma che, una volta accettato, inizia immediatamente a sua volta il proprio ciclo di auto-validazione, relegando il paradigma precedente a "errore", "ignoranza", o "parzialità".
L'Illusione delle Illusioni: Il Grande Accecamento Gnoseologico
La pericolosità di questa situazione non risiede semplicemente nel riconoscimento dei limiti, una consapevolezza che ogni forma di conoscenza dovrebbe possedere. No, il vero pericolo, e la vera e più insidiosa illusione, risiede nella pretesa del metodo scientifico moderno di aver superato definitivamente ogni forma di illusione. L'arroganza epistemologica che pervade la nostra epoca ci ha convinto di aver raggiunto una forma di conoscenza immune ai condizionamenti storici, culturali, sociali o soggettivi che hanno caratterizzato le epoche precedenti. Abbiamo etichettato il pensiero mitico, le cosmologie antiche, le speculazioni filosofiche pre-scientifiche, e persino le metafisiche religiose come forme di pensiero "ingenue", "superstiziose" o semplicemente "sbagliate". Ci siamo auto-proclamati custodi di una "verità" superiore, basata su un metodo che, a detta nostra, è intrinsecamente superiore e libero da pregiudizi. Ma questa è la più grande delle fedi cieche. In realtà, non ci siamo liberati dai condizionamenti; li abbiamo semplicemente celati sotto il manto dell'oggettività. I valori culturali, le priorità economiche, le strutture di potere, e persino le inclinazioni psicologiche dei singoli ricercatori e delle comunità scientifiche, non spariscono magicamente quando si entra in laboratorio. Essi si manifestano nella scelta dei problemi da investigare, nel finanziamento di determinate aree di ricerca rispetto ad altre, nell'interpretazione dei risultati e persino nella decisione di quali risultati meritano di essere pubblicati e quali no. La "peer review" stessa, spesso citata come baluardo dell'oggettività, è un processo intrinsecamente umano e quindi soggetto a bias, mode e pregiudizi della comunità. Questo è l'accecamento gnoseologico di cui parliamo: l'incapacità o la riluttanza a vedere come il metodo scientifico, lungi dall'essere una finestra trasparente sulla realtà, sia piuttosto un sofisticato filtro che plasma ciò che possiamo percepire e conoscere. Non siamo meno dipendenti da un sistema di credenze di quanto lo fossero le società che si affidavano agli oracoli o alle rivelazioni divine. Semplicemente, la nostra "fede" è stata riposta in un apparato metodologico che, mascherato da razionalità e rigore, ci impedisce di interrogare le sue stesse fondamenta. La scienza, lungi dall'essere un mero descrittore della realtà, è un costruttore di realtà. Le teorie non sono solo specchi del mondo; sono modelli che noi stessi imponiamo al mondo per renderlo comprensibile. E nel processo di costruzione, scegliamo cosa includere e cosa escludere, definendo così i limiti di ciò che consideriamo "reale" o "vero". Questa attività costruttiva, mascherata da pura scoperta, è la vera illusione del nostro tempo. Abbiamo sostituito gli dei con i dati, i dogmi religiosi con i paradigmi scientifici, credendo ingenuamente di aver raggiunto una libertà intellettuale che in realtà non abbiamo mai conseguito. La prigione è solo diventata più invisibile, le sue sbarre fatte di numeri e formule, ma non per questo meno reali.