Passa ai contenuti principali

Il Monaco, la Farfalla e il Vuoto del Cuore


In un antico monastero Zen incastonato tra le montagne nebbiose del Giappone, viveva un anziano maestro di nome Kenji. Kenji era rinomato per la sua saggezza profonda e la sua capacità di vedere l'essenza delle cose al di là delle apparenze. La sua vita era stata un lungo e paziente studio del vuoto e dell'interconnessione di tutta la vita.

Un giorno, un giovane monaco zelante e impaziente, chiamato Ren, si avvicinò a Kenji. Ren era turbato. Aveva dedicato anni alla meditazione, allo studio dei sutra e al servizio del monastero, eppure sentiva ancora un'inquietudine profonda, un vuoto che nessuna pratica sembrava riuscire a colmare del tutto.

"Maestro," disse Ren, con la voce carica di frustrazione, "ho cercato la pace e l'illuminazione con ogni fibra del mio essere, ma il mio cuore rimane un pozzo senza fondo. Vedo le meraviglie del mondo, sento la bellezza del silenzio, eppure c'è sempre un'ombra di insoddisfazione. Cos'è questa ombra? Come posso liberarmene?"

Kenji, con un sorriso sereno che illuminava il suo viso rugoso, fece cenno a Ren di seguirlo nel giardino del monastero. Il giardino era un santuario di pace, con un laghetto di carpe Koi, bonsai secolari e sentieri coperti di muschio. Si fermarono accanto a un cespuglio di azalee in piena fioritura, dove una farfalla dalle ali iridescenti volteggiava con grazia inaudita.

"Guarda attentamente, Ren," disse Kenji, indicando la farfalla. "Cosa vedi?"

Ren osservò la farfalla per un lungo momento. "Vedo una creatura fragile, maestro, che danza nell'aria, priva di preoccupazioni, concentrata solo sul nettare dei fiori."

"E cosa prova il tuo cuore mentre la osservi?" chiese Kenji.

Ren rifletté. "Provo un senso di leggerezza, di ammirazione per la sua libertà."

Kenji annuì. "Ora, Ren, immagina per un istante che quella farfalla sia il tuo desiderio di raggiungere qualcosa. Di afferrare la pace, di possedere l'illuminazione. Per quanto a lungo la insegui, per quanto tu ti sforzi di afferrarla, cosa accadrà?"

Ren capì immediatamente. "Mi sfuggirà, maestro. La sua essenza è nel suo volo, non nel mio possesso."

"Esatto," disse Kenji. "Eppure, la bellezza di quella farfalla non svanisce perché non la possiedi. Anzi, la sua bellezza risiede proprio nel suo essere libera, nel suo essere transitoria, nel suo danzare attraverso l'esistenza senza lasciare traccia duratura, se non l'impressione nel tuo cuore."

Kenji si chinò e raccolse delicatamente una foglia caduta. "Questa foglia, Ren, era una volta parte di un albero forte e maestoso. Ha accolto il sole, la pioggia, il vento. Ha servito il suo scopo. E ora, è tornata alla terra. C'è tristezza in questo?"

"No, maestro," rispose Ren. "È il ciclo naturale della vita."

"E tu, Ren," continuò Kenji, "anche tu sei parte di questo ciclo. Tu cerchi di riempire il tuo cuore perché credi che debba essere pieno di qualcosa di solido, di permanente. Ma il vuoto che senti, quella che chiami ombra, non è un'assenza da colmare, ma uno spazio da abitare. È lo spazio che permette alla farfalla di volare, alla foglia di cadere e alla sorgente di scorrere."

Kenji posò una mano gentile sulla spalla di Ren. "L'inquietudine che senti, Ren, nasce dalla tua resistenza al vuoto. Desideri che il tuo cuore sia una coppa sempre piena, ma la vera saggezza risiede nel permettere al tuo cuore di essere come il cielo: vasto, aperto, capace di contenere nuvole e sole, tempeste e calma, senza che nessuna di esse lo definisca o lo riempia per sempre."

"Quando abbracci il vuoto, quando smetti di lottare contro di esso, scoprirai che non è un'assenza, ma una presenza illimitata. È lo spazio in cui la compassione può fiorire senza limiti, in cui la gioia può sorgere senza attaccamento, in cui la tristezza può passare senza lasciare cicatrici permanenti. Il vuoto non è un nulla, Ren, è il potenziale per tutto."

Ren ascoltava con le lacrime agli occhi. Le parole del maestro risuonavano non solo nella sua mente, ma nel profondo del suo essere. Cominciò a comprendere che la sua ricerca incessante di "qualcosa" da riempire era essa stessa la causa del suo tormento. Il vuoto non era un nemico da combattere, ma un amico da accogliere.

Da quel giorno, Ren non cercò più di riempire il suo cuore. Iniziò a praticare l'accettazione, a osservare il flusso e riflusso delle sue emozioni come le onde del mare. Permise alla sua mente di essere come il cielo, in cui i pensieri erano nuvole che passavano. E nel fare ciò, paradossalmente, il vuoto che tanto lo spaventava si trasformò in una sensazione di completezza, di profonda pace e di interconnessione con tutta la vita. La farfalla continuava a volare liberamente nel giardino, e Ren, osservandola, non sentiva più il bisogno di afferrarla, ma la pura gioia del suo volo.



Post popolari in questo blog

Gurdjieff: Cosa significa realmente "Cercare di non esprimere Emozioni Negative"

Di tutte le indicazioni e i suggerimenti di Gurdjieff per l'attuazione pratica delle sue idee, quello che sembra essere stato più persistentemente frainteso è la sua raccomandazione di "cercare di non esprimere negatività". A prescindere da quanto spesso si possa ricordare agli studenti che il Lavoro potrebbe riguardare l'evoluzione psicologica, non si tratta di psicoterapia. Non si tratta di sopprimere o reprimere sentimenti, comportamenti e reazioni. Non si tratta di imparare a fingere di essere al di là della reattività. Non si tratta di migliorare la propria personalità per apparire una persona più gentile o più spirituale. Ho visto persone scoraggiate e frustrate con se stesse per anni, che si chiedevano se stessero fallendo, se non si stessero "impegnando abbastanza" quando riferivano che, nonostante tutti gli sforzi che avessero cercato di mettere in atto, continuavano a sperimentare periodicamente stati interiori di rabbia, ansia, risentimento, irrit...

La morte di Gurdjieff (Dr. William J. Welch)

Fui chiamato al telefono. Da Parigi giunse voce che Gurdjieff fosse gravemente malato, e mi fu chiesto se avessi potuto spedire al suo medico di Parigi dell’albumina sierica che era stata recentemente resa disponibile negli Stati Uniti. Gurdjieff non era stato molto bene quando arrivò a New York nell’inverno del 1948, ma non sembrava gravemente malato e non si era mai messo a letto. Era tormentato da una tosse tracheale spasmodica, un rombo profondo, gorgogliante, che rifletteva non solo un’infiammazione cronica alla base dei suoi polmoni, ma anche il suo amore per le Gaulois Bleu, la popolare sigaretta francese con tabacco nero turco aspro e grasso. La sua circonferenza addominale era eroica, e la sua presenza nel bagno turco, anche se non pantagruelica, era quantomeno all’altezza del Balzac di Rodin. Fu così che con i ricordi del vigore non più giovane, ma robusto e invecchiato di Gurdjieff, udii con incredulità, nella tarda estate del 1949, della sua forza in diminuzione e del deter...

Gurdjieff: "Ogni persona che incontri, compreso te stesso, è una merda".

La notizia dell’arrivo del Signor Gurdjieff a Chicago, nell’inverno del 1932, mi mise in apprensione. A tutt’oggi, a distanza di quasi trent’anni e con il senno del poi, ancora non riesco a capire perché non lo volessi vedere. Sicuramente, i miei sentimenti nascevano in parte dal fatto che mi ero convinto che forse avevo sbagliato a lasciare il Prieuré nel 1929. A causa della mia dipartita, sentivo di non essere un seguace leale o fedele. Inoltre, se da una parte i suoi scritti mi interessavano veramente e provavo un sincero affetto per Gurdjieff come uomo, dall’altra il mio rapporto con il gruppo di Chicago mi aveva portato a mettere in discussione la validità del suo lavoro sotto ogni aspetto. Ero ancora alla ricerca di prove – qualche qualità nel comportamento dei suoi seguaci – che mi convincessero che egli fosse qualcosa di più di un potente essere umano in grado di ipnotizzare a suo piacere folte schiere di individui. In quel periodo, il mio interesse per i suoi scritti non andav...