C'era una volta, in un'antica terra, un giovane monaco che viveva in un monastero situato sulle rive di un grande fiume. Era un discepolo diligente, desideroso di raggiungere la pace interiore, ma spesso si sentiva turbato dalle sue emozioni negative: rabbia, invidia e frustrazione lo assalivano regolarmente, lasciandolo irrequieto.
Un giorno, il suo saggio maestro lo vide seduto in meditazione, ma il suo volto era contratto dalla tensione. Il maestro gli si avvicinò e gli chiese: "Figlio mio, cosa ti affligge?"
Il monaco rispose: "Maestro, cerco la serenità, ma le mie emozioni mi trascinano via come un fiume in piena. Non riesco a liberarmene."
Il maestro sorrise dolcemente e disse: "Vieni con me, ti mostrerò qualcosa."
Lo condusse sulla riva del fiume. Le acque erano tumultuose, cariche di fango e detriti portati da una recente tempesta. Grandi tronchi d'albero, rami spezzati e immondizia galleggiavano sulla superficie, sbattendo contro le rocce.
"Guarda il fiume," disse il maestro. "Vedi tutti questi detriti? Sono come le tue emozioni negative. Se provi a fermare il fiume, a bloccare ogni singolo pezzo di detrito, cosa succederà?"
Il monaco rifletté: "Il fiume strariperebbe, o i detriti si accumulerebbero, creando un blocco ancora più grande."
"Esattamente," continuò il maestro. "E così è con le tue emozioni. Se cerchi di sopprimerle, di combatterle con tutte le tue forze, esse non scompariranno. Anzi, si rafforzeranno e ti causeranno ancora più sofferenza."
Il monaco guardò il fiume, ora con occhi diversi. "Allora cosa dovrei fare, maestro?"
Il maestro indicò il flusso ininterrotto del fiume. "Osservalo. Lascia che i detriti passino. Non aggrapparti a essi, non giudicarli, non cercare di trattenerli. Semplicemente osservali mentre scorrono via."
"Quando senti la rabbia sorgere, o l'invidia che ti stringe il cuore, non resisterle. Riconoscila. Dille: 'Ah, eccoti, rabbia.' E poi, permettile di passare. Non alimentarla con pensieri e giudizi. Non identificarti con essa. Ricorda che tu non sei la tua rabbia, non sei la tua invidia. Sei l'osservatore."
Il monaco rimase in silenzio, assorbendo le parole del maestro. Iniziò a praticare questo insegnamento. Quando le emozioni negative sorgevano, invece di combatterle, le riconosceva e le lasciava fluire, proprio come i detriti nel fiume. Lentamente, notò un cambiamento. Le emozioni non avevano più lo stesso potere su di lui. Arrivavano, sì, ma poi se ne andavano, lasciando dietro di sé una crescente sensazione di pace e spazio interiore.
Da quel giorno, il monaco capì che la vera saggezza non sta nel negare o combattere le proprie emozioni, ma nel comprenderle, accettarle e permettere loro di passare, sapendo che, come ogni cosa, sono impermanenti. Il fiume della sua mente, pur non essendo mai completamente privo di detriti, scorreva ora con maggiore chiarezza e tranquillità.
Questa storia illustra un principio fondamentale di molte tradizioni orientali, in particolare il Buddhismo: l'importanza dell'accettazione e della non-identificazione con le emozioni negative per raggiungere la liberazione dalla sofferenza. Invece di reprimerle o lasciarsi sopraffare, si impara a osservarle con distacco, permettendo loro di esaurirsi naturalmente. G.I. Gurdjieff, nel suo "Lavoro" (o il "Quarta Via"), dava grande importanza alla pratica di non esprimere le emozioni negative. Non si trattava di una semplice repressione, ma di un approccio molto più profondo e trasformativo. Per Gurdjieff, le emozioni negative come la rabbia, l'invidia, la paura, l'auto-commiserazione, la gelosia, la noia e il risentimento non sono "vere" emozioni nel senso più elevato del termine. Egli le considerava piuttosto stati meccanici, vizi e prodotti della nostra meccanicità e del nostro "falso sé". La loro espressione è uno spreco enorme di energia psichica che potrebbe essere usata per lo sviluppo della consapevolezza e del "vero sé". Gurdjieff sosteneva che ogni volta che esprimiamo una emozione negativa, stiamo sprecando energia preziosa. Questa energia è vitale per il nostro sviluppo interiore e per il risveglio della coscienza. Non solo, l'espressione di queste emozioni le rafforza, rendendole più radicate e automatiche. È come dare nutrimento a un'erba infestante: più la si alimenta, più cresce e soffoca le piante buone. La pratica di non esprimere le emozioni negative è un passo cruciale per imparare a non identificarsi con esse. Noi spesso diciamo "Sono arrabbiato" o "Sono triste", ma Gurdjieff insegnava che noi non siamo la nostra rabbia o la nostra tristezza. Queste sono solo stati temporanei, "ospiti" nella nostra casa interiore. Non esprimendoli, creiamo una distanza tra noi (l'osservatore) e l'emozione stessa, permettendoci di vederla in modo più obiettivo. Questo è il primo passo per comprendere che le emozioni negative non sono causate da fattori esterni, ma nascono da meccanismi interni. Il divieto di esprimere le emozioni negative costringe l'individuo a una più profonda osservazione di sé. Quando senti l'impulso di arrabbiarti o lamentarti, ma ti astieni dall'esprimerlo, l'energia di quell'emozione non svanisce. Invece, rimane "dentro", e questo crea una frizione, una tensione che può essere utilizzata come combustibile per la consapevolezza. È in quel momento di lotta interna che si ha l'opportunità di osservare l'emozione, di capirne la natura, le sue radici e il suo funzionamento. Questa osservazione è la chiave per la trasformazione. È fondamentale capire che Gurdjieff non parlava di soppressione o repressione delle emozioni negative. La repressione spinge semplicemente l'emozione nell'inconscio, dove può causare danni maggiori. Invece, l'idea è di trasformare quell'energia. Non esprimendola all'esterno, si crea la possibilità di lavorarci internamente, di convertirla in una forma più utile e costruttiva, come energia per la propria crescita. Questa pratica è estremamente difficile e contro-intuitiva per molte persone, che spesso credono che esprimere le emozioni sia sano. Gurdjieff direbbe che l'espressione "meccanica" delle emozioni negative è un sintomo della nostra "meccanicità" e della nostra mancanza di vera libertà interiore. Per lui, la capacità di scegliere di non esprimere un'emozione negativa è un segno di vera volontà e di un inizio di risveglio. È un esercizio che mira a rompere i nostri schemi automatici e a sviluppare una maggiore padronanza su noi stessi, per poter agire da esseri più consapevoli piuttosto che da "macchine" governate dalle reazioni.