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Filosofia, Scienza e l'Ignoranza travestita: Nomi e Descrizioni che Mascherano il Nulla


La storia del pensiero umano, sia scientifico che filosofico, può essere crudelmente riassunta come un'incessante transizione da un "non so" primordiale a un "non so che chiamo e che descrivo così". Questa affermazione, provocatoria nella sua semplicità, getta un'ombra inquietante sull'intera impalcatura della conoscenza che l'umanità ha eretto con tanta fatica e orgoglio. Ci siamo convinti che nominare e descrivere equivalga a comprendere, che catalogare sia sinonimo di conoscere la vera essenza. Ma è un inganno, un auto-inganno collettivo che ci rassicura sulla nostra capacità di dominare il reale, mentre in verità ne tocchiamo solo le superficiali vesti. Consideriamo la scienza. Essa procede per osservazione, sperimentazione, formulazione di ipotesi e teorie. Quando ci troviamo di fronte a un fenomeno inspiegabile – prima gli diamo un nome, sia esso la "gravità", la "coscienza", l'"energia oscura" o l'"origine della vita" – dopodiché tentiamo di descriverlo, infine inventiamo spiegazioni soggettive e fallaci per interpretare la descrizione. Misuriamo le sue manifestazioni, le sue interazioni, le sue regolarità. Assegniamo nomi: "gravità" per l'attrazione tra masse, "coscienza" per l'esperienza soggettiva, "energia oscura" per ciò che accelera l'espansione dell'universo. Questi nomi, tuttavia, non rivelano la natura intrinseca del fenomeno. Ci dicono "come" si comporta "cosa", ma senza dirci realmente cosa sia. La fisica, ad esempio, ci offre equazioni eleganti e predizioni accurate sul comportamento delle particelle subatomiche. Ma qualcuno può affermare di "conoscere" veramente un elettrone? Ne conosciamo la carica, la massa, lo spin, il comportamento probabilistico. Ma al di là di queste descrizioni matematiche e comportamentali, l'elettrone in sé rimane un enigma. È una "cosa" che si manifesta in un certo modo, e noi abbiamo creato un linguaggio – la matematica – per descrivere queste manifestazioni. Confondiamo la descrizione con l'essenza, il modello con la realtà. La mappa, per quanto dettagliata, non è il territorio. E noi, come cartografi presuntuosi, veneriamo e difendiamo ferocemente le nostre mappe come se fossero il territorio stesso. Questo perché siamo identificati, quindi confutare un'idea a cui si crede equivale a confutare l'identità stessa del soggetto. Lo stesso discorso vale per la biologia. Descriviamo i meccanismi del DNA, le reazioni metaboliche, il funzionamento del cervello. Ma la vita stessa, nella sua essenza più profonda, ci sfugge. Sappiamo come si replica una cellula, ma perché la materia inerte si organizzi in strutture viventi dotate di autopoiesi rimane un "non so" fondamentale. Abbiamo coniato termini come "autopoiesi", "omeostasi", "sistema nervoso centrale", ma questi nomi sono etichette apposte su processi di cui osserviamo le conseguenze, non le cause prime o la loro intima ragion d'essere. La filosofia, dal canto suo, non è meno colpevole. Fin dai tempi antichi, i filosofi si sono confrontati con le grandi domande esistenziali: "Che cos'è la realtà?", "Qual è lo scopo della vita?", "Esiste Dio?", "Che cos'è la verità?". Ogni epoca ha visto nascere sistemi di pensiero elaborati, con concetti complessi e terminologie specifiche: "noumeno" e "fenomeno", "essere" e "nulla", "a priori" e "a posteriori", "substanzia" e "accidente". Ma questi concetti, per quanto raffinati, sono anch'essi tentativi di nominare e descrivere qualcosa che resta, in ultima analisi, inconoscibile nella sua totalità. Platone parlava del mondo delle Idee, l'essenza perfetta e immutabile di ogni cosa. Ma il mondo delle Idee era raggiungibile solo attraverso la ragione, una facoltà che opera con concetti e definizioni. Era forse una descrizione ultima, o un'elegante metafora per un "non so" ineffabile? Kant, con la sua distinzione tra fenomeno (ciò che possiamo conoscere) e noumeno (la cosa in sé, inconoscibile), ha forse raggiunto la vetta più alta di questa consapevolezza. Ha riconosciuto il limite invalicabile della conoscenza umana, suggerendo che ogni nostra comprensione è mediata dalle categorie della nostra mente, non un accesso diretto alla realtà ultima. Eppure, anche questa lucida ammissione è spesso dimenticata o ignorata, e il "fenomeno" viene scambiato per il "noumeno" nel discorso comune. La tragedia di questa confusione risiede nel fatto che il "nome" e la "descrizione" vengono scambiati per "sapere", "conoscenza", "sapienza". L'accumulazione di definizioni e la capacità di manipolare simboli linguistici o matematici ci danno l'illusione di aver afferrato la realtà. Ci sentiamo confortati nel dire "so cos'è un buco nero" quando in realtà abbiamo solo un modello matematico che ne descrive il comportamento gravitazionale e la sua interazione con la luce. Non abbiamo idea di "cosa sia" intrinsecamente un buco nero, al di là delle sue manifestazioni osservabili. Questa sostituzione è pericolosa perché genera un'arroganza epistemologica. Ci fa credere di aver raggiunto una padronanza sul mondo che non possediamo. Ci impedisce di mantenere quella sana umiltà intellettuale che è la vera molla della scoperta. Se crediamo che nominare e descrivere corrisponda a indagare le profondità ancora inesplorate del "non so", significa che siamo nell'illusione più totale. In sintesi, sia la scienza che la filosofia, nel loro tentativo di dare un senso al mondo, hanno involontariamente eretto un monumento all'illusione. Hanno trasformato l'inconoscibile in catalogabile, il mistero in definizione, il "non so" in un "non so che ho chiamato e descritto così". È un processo che, pur producendo straordinari avanzamenti tecnologici e concettuali, ci ha forse allontanati dalla consapevolezza della nostra intrinseca ignoranza. La vera sapienza, forse, non risiede nell'accumulazione di nomi e descrizioni, ma nel riconoscimento e nell'abbraccio di un "non so" eterno e ineludibile. Solo accettando la nostra limitatezza possiamo aspirare a una forma di saggezza che trascende la mera catalogazione e si avvicina a una comprensione più profonda, anche se ineffabile, della realtà.


La Proiezione Mentale: Costruire il Noto dall'Ignoto

Ogni concetto e ogni paradigma che utilizziamo per interpretare la realtà non sono proprietà intrinseche del mondo esterno, ma costruzioni della mente umana. Sono categorie, schemi, reti interpretative che creiamo per dare forma a ciò che altrimenti sarebbe un caos indifferenziato di stimoli. Prendiamo, ad esempio, il concetto di "albero". Non esiste un "albero universale" fluttuante nell'etere; ci sono individuali entità biologiche che la nostra mente raggruppa sotto un'unica etichetta, basandosi su caratteristiche comuni che noi stessi abbiamo definito rilevanti (tronco, rami, foglie, crescita). Questa categorizzazione è incredibilmente utile per navigare il mondo, ma è cruciale riconoscere che l'atto del raggruppare e del nominare è un'operazione nostra, non del fenomeno in sé. Quando ci troviamo di fronte a un fenomeno ignoto, la nostra mente non lo accetta come tale per molto tempo. C'è un'innata repulsione per l'ambiguità e l'incertezza. Per sopperire a questa lacuna, la mente entra in azione, attingendo al suo repertorio di concetti e paradigmi preesistenti, o forgiandone di nuovi, per "dare un senso" all'ignoto. Questo processo è una proiezione: proiettiamo le nostre strutture mentali sul fenomeno. Il fenomeno non è più semplicemente "ciò che è", ma "ciò che è conforme al nostro concetto di esso". Ciò che pensiamo non dice quasi nulla sui fenomeni esterni, ma dice molto o tutto sulla mente stessa. Pensiamo all'evoluzione dei modelli scientifici. Per secoli, il moto dei corpi celesti era un fenomeno ignoto. L'uomo ha proiettato su di esso il paradigma della perfezione divina e dei cerchi perfetti (modello tolemaico). Il fenomeno, così incorniciato, sembrava "noto" e spiegabile. Quando le osservazioni non si conformarono più a questo paradigma, si è costruito un nuovo modello (copernicano, poi kepleriano), basato su orbite ellittiche e forze gravitazionali. Ogni volta, un nuovo set di concetti (forza, attrazione, orbita ellittica) è stato proiettato sul fenomeno, e l'adesione a questo nuovo paradigma ha conferito l'illusione che ora il moto dei pianeti fosse "veramente" compreso. Ma ciò che conosciamo sono i modelli che abbiamo costruito, non l'essenza intrinseca del moto o delle forze in gioco. La gravitazione universale di Newton descrive magnificamente come la gravità agisce, ma non ci dice cosa sia intrinsecamente la gravità. Il concetto di "curvatura dello spaziotempo" di Einstein ci offre una descrizione più profonda, ma è pur sempre un concetto, un'astrazione mentale, proiettata sulla realtà per renderla intelligibile ai nostri termini.


Come l'Ignoranza si traveste da Conoscenza: Le Ragioni dell'Illusione

Questa dinamica di proiezione è fertile terreno per l'inganno intellettuale, dove l'ignoranza si traveste astutamente da conoscenza. Ci sono diverse ragioni per cui questo accade:

  1. Il Potere Esplicativo Apparente: Quando un concetto o un paradigma riesce a "spiegare" (ovvero, a inquadrare in termini comprensibili) una vasta gamma di fenomeni, acquisiamo un senso di padronanza. La capacità di prevedere un evento o di manipolarlo sulla base di un modello ci convince che abbiamo compreso la sua vera natura. In realtà, abbiamo solo un modello predittivo efficace, che non necessariamente equivale a una comprensione ontologica. L'ignoranza è mascherata dal successo pragmatico del modello.

  2. La Coerenza Interna del Sistema: Concetti e paradigmi non sono isolati; formano sistemi complessi e interconnessi. Quando un nuovo fenomeno può essere integrato armoniosamente in un sistema di conoscenze preesistente, la coerenza interna di quel sistema ci rassicura sulla sua validità. Sembra che "tutto torni", e questa armonia interna viene scambiata per una corrispondenza con la realtà esterna. L'eleganza logica e la coerenza del sistema diventano un surrogato della verità ultima, nascondendo le lacune fondamentali.

  3. Il Comfort Psicologico: L'incertezza è scomoda. La mente umana brama la certezza e la prevedibilità. Nominare un fenomeno, classificarlo, inserirlo in un paradigma ci offre un senso di controllo e sicurezza psicologica. L'atto di dire "so cos'è X" allevia l'ansia dell'ignoto, anche se ciò che "sappiamo" è solo una nostra costruzione. L'ignoranza è quindi celata dietro una barriera protettiva di concetti rassicuranti.

  4. La Condivisione Sociale e la Legittimazione: La conoscenza, in gran parte, è un costrutto sociale. Quando una comunità scientifica o filosofica adotta un certo paradigma o set di concetti, questi diventano la "verità" accettata. L'accordo collettivo e la ripetizione di queste categorie ne rafforzano la percezione di validità oggettiva. Siamo più propensi a credere che qualcosa sia vero se tutti intorno a noi lo credono, e questo meccanismo di legittimazione sociale consolida l'illusione. L'ignoranza viene travestita dalla convalida di gruppo.

  5. La Confusione tra Causa e Correlazione (e Descrizione): Spesso, identifichiamo una correlazione robusta tra fenomeni e la scambiamo per una relazione causale intrinseca, che a sua volta viene confusa con una comprensione profonda. O ancora, la capacità di descrivere dettagliatamente un processo viene equiparata alla comprensione del "perché" o del "cosa" fondamentale di quel processo. Ad esempio, descriviamo le reazioni chimiche e i legami molecolari, ma l'essenza intrinseca dell'attrazione e repulsione a livello quantistico rimane un "non so" che mascheriamo con etichette come "forza" o "interazione".

In conclusione, la nostra mente è una formidabile macchina che costruisce nomi, concetti e descrizioni, ma questa stessa capacità può trasformarsi in una trappola. Ogni concetto, ogni paradigma, è uno strumento che la mente proietta sull'ignoto per renderlo intelligibile, creando un'immagine speculare della nostra stessa struttura cognitiva. Il pericolo sorge quando confondiamo questa immagine riflessa con la realtà in sé, quando il nome e la descrizione che abbiamo costruito vengono scambiati per il fenomeno stesso, conferendo un'illusione di conoscenza che, in ultima analisi, è solo un'elaborato travestimento dell'ignoranza.



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