Fede (pistis), Amore (agape) e Speranza (elpis): Un Viaggio Etimologico e Filologico nel Cuore del Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento, redatto principalmente in greco koinè, è una miniera di concetti teologici profondi, veicolati attraverso un vocabolario ricco e sfumato. Tre termini in particolare – πίστις (pistis), ἐλπίς (elpis) e ἀγάπη (agape) – formano la celebre triade paolina di 1 Corinzi 13:13, pilastri fondamentali della fede cristiana. Sebbene comunemente tradotti come "fede", "speranza" e "amore", una comprensione etimologica e filologica più approfondita rivela strati di significato che le traduzioni moderne, per loro natura, possono solo parzialmente catturare. Il greco koinè (o semplicemente "koinè", dal greco κοινή, che significa "comune") è la lingua greca comune che si sviluppò e si diffuse in tutto il mondo mediterraneo a partire dal IV secolo a.C., in seguito alle conquiste di Alessandro Magno.
I. Πίστις (Pistis): Oltre la Semplice "Fede"
Etimologia e Usi Pre-Cristiani: Il termine πίστις (pistis) deriva dal verbo πείθω (peithō), che significa "persuadere", "convincere". In greco classico, pistis poteva riferirsi a:
Fiducia, Credenza: La fiducia in una persona, un'affermazione o una dottrina.
Affidabilità, Lealtà: L'affidabilità di qualcuno, la sua fedeltà o la garanzia data. Un "uomo di pistis" era un uomo di parola, degno di fiducia.
Prova, Garanzia: Ciò che conferisce fiducia o credibilità. Non era un concetto puramente religioso, ma aveva un'applicazione più ampia nella vita sociale e politica, indicando l'affidabilità nelle relazioni.
Significato Filologico nel Nuovo Testamento: Nel Nuovo Testamento, pistis trascende la mera "credenza intellettuale" per abbracciare un complesso di significati che convergono sulla relazione dell'uomo con Dio e con Cristo:
Fiducia Totale e Radicale: Non è solo credere che Dio esista o che le sue parole siano vere, ma un affidamento incondizionato e totale a Dio stesso, alla sua persona, alla sua potenza e alle sue promesse. È un "appoggiarsi" completamente su di Lui. Questo aspetto di "fiducia" è spesso più pregnante del semplice "credere".
Fedeltà e Costanza: Il concetto di affidabilità è bidirezionale. Mentre l'uomo ripone la sua pistis in Dio, Dio stesso è degno di pistis (fedele, affidabile). La fede, in questo senso, implica anche la fedeltà perseverante del credente al patto con Dio, una costanza nella relazione. È un impegno reciproco.
Convinzione Interiore Profonda: Non si tratta di una "fede cieca" o di una semplice accettazione dogmatica, ma di una convinzione interiore salda che porta alla persuasione e alla certezza delle realtà invisibili (Ebrei 11:1: "Ora la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono").
Atto di Obbedienza: La pistis nel NT non è passiva, ma dinamica e operante. È un atto di obbedienza che risponde all'appello divino, che porta a un cambiamento di vita e a un agire coerente con la fiducia riposta. La "fede che opera per mezzo dell'amore" (Galati 5:6) ne è un esempio lampante.
Limitazioni della Traduzione "Fede": Il termine "fede" in italiano può talvolta essere inteso principalmente come "credenza" o "dottrina". Questo riduce la dimensione dinamica, relazionale e di affidamento totale presente in pistis. La perdita di questa profondità può portare a un'interpretazione della fede come un mero assentimento intellettuale, piuttosto che come una relazione vitale e attiva con il divino.
II. Ἀγάπη (Agape): L'Amore Divino e Altruistico
Etimologia e Usi Pre-Cristiani: Il termine ἀγάπη (agape) è forse il più distintivo e profondamente trasformato nell'uso neotestamentario. Nel greco classico, agape era un termine relativamente raro e non così prominente come eros (amore passionale, desiderio) o philia (amore fraterno, amicizia). Quando usato, poteva riferirsi a:
Affetto, Stima: Un apprezzamento o un affetto generico.
Banchetto d'Amore: A volte usato per indicare un pasto comune o un banchetto d'amicizia. Non aveva la profondità e l'universalità che avrebbe acquisito nel cristianesimo.
Significato Filologico nel Nuovo Testamento: Nel Nuovo Testamento, agape diventa il concetto centrale per descrivere l'amore di Dio e l'amore che i cristiani sono chiamati a manifestare. È un amore unico, che si distingue nettamente dagli altri tipi di amore:
Amore Altruistico e Sacrificale: È un amore che non cerca il proprio vantaggio, ma il bene dell'altro, anche a costo del sacrificio personale. L'esempio supremo è l'amore di Dio manifestato in Cristo, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Giovanni 3:16).
Amore di Volontà, Non di Emozione: A differenza di eros (spinto dal desiderio) o philia (basato sulla reciprocità), agape è una scelta consapevole della volontà, un principio etico. Si può esercitare agape anche verso i nemici (Matteo 5:44), persone per le quali non si prova necessariamente affetto.
Incondizionato e Iniziatico: L'agape di Dio è incondizionata; Egli ama l'umanità non perché sia meritevole, ma per la sua stessa natura. Allo stesso modo, l'agape cristiana è un amore che prende l'iniziativa, che si estende a chi non può ricambiare.
Perfetto e Divino: L'agape è considerata la più alta forma di amore, l'essenza stessa di Dio ("Dio è amore" - 1 Giovanni 4:8). È un amore che perfeziona il credente e lo rende partecipe della natura divina.
Fondamento della Morale Cristiana: L'agape è il comandamento più grande (Marco 12:30-31) e la virtù culminante che informa ogni aspetto della vita del credente e delle sue relazioni ("l'amore è il pieno adempimento della legge" - Romani 13:10).
Limitazioni della Traduzione "Amore": Il termine "amore" in italiano è estremamente generico e può riferirsi a un'ampia gamma di sentimenti, dal desiderio romantico all'affetto familiare, fino all'apprezzamento per un oggetto. Questo può offuscare la specificità e la radicalità dell'agape neotestamentaria, che è un amore volitivo, sacrificale, incondizionato e orientato al bene dell'altro, distinto dagli amori basati sull'attrazione o l'affinità.
III. Ἐλπίς (Elpis): La "Speranza" come Certezza
Etimologia e Usi Pre-Cristiani: Il termine ἐλπίς (elpis) in greco classico aveva un significato più ampio di quello che spesso associamo a "speranza" nel linguaggio comune. Poteva indicare:
Aspettativa: L'attesa di qualcosa, sia essa positiva o negativa.
Attesa Fiduciosa: Spesso con una connotazione positiva, l'attesa di un bene futuro. Tuttavia, poteva anche implicare una certa incertezza o un desiderio che potrebbe non realizzarsi, simile al nostro "sperare che...".
Significato Filologico nel Nuovo Testamento: Nel Nuovo Testamento, elpis acquisisce una dimensione radicalmente nuova, profondamente radicata nella fede in Cristo e nella risurrezione:
Aspettativa Certa e Confidente: La elpis cristiana non è un vago augurio o un desiderio incerto. È una attesa ferma e fiduciosa del compimento delle promesse divine, basata sulla fedeltà di Dio e sulla risurrezione di Gesù Cristo. È una "certezza delle cose che si sperano" (Ebrei 11:1).
Orientamento al Futuro Escatologico: La elpis è intrinsecamente legata all'escatologia, cioè alle "ultime cose": la resurrezione dei morti, il ritorno di Cristo, la vita eterna e la piena realizzazione del Regno di Dio. Essa proietta il credente verso un futuro garantito dalla potenza divina.
Fondamento nell'Azione di Dio: La speranza cristiana non si basa sulla forza o sulle capacità umane, ma sull'azione salvifica di Dio in Cristo. È Dio che "ci ha rigenerati a una viva speranza mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti" (1 Pietro 1:3).
Forza di Perseveranza: In quanto attesa certa, la elpis infonde resilienza e perseveranza nelle prove. Permette al credente di sopportare le difficoltà presenti sapendo che un futuro glorioso è assicurato da Dio. "Nella speranza siamo stati salvati" (Romani 8:24).
Limitazioni della Traduzione "Speranza": La parola italiana "speranza" può talvolta evocare un senso di incertezza o desiderio debole ("spero che non piova"). Questo contrasta con la fermezza e la certezza intrinseche all'elpis neotestamentaria. La elpis biblica è una speranza "ancora" per l'anima (Ebrei 6:19), solida e inamovibile, non un semplice desiderio.
La Ricchezza del Greco Originale
L'esame di πίστις (pistis), ἐλπίς (elpis) e ἀγάπη (agape) rivela che il greco del Nuovo Testamento non è un semplice veicolo per concetti universali, ma una lingua che plasma e approfondisce questi concetti in modi unici. Le traduzioni moderne, pur essendo essenziali per la diffusione del messaggio biblico, agiscono inevitabilmente come un filtro, potendo appiattire alcune delle sfumature più ricche. Comprendere la dimensione di fiducia radicale e fedeltà in pistis, la certezza garantita in elpis, e la scelta altruistica e sacrificale in agape è cruciale per cogliere appieno la profondità teologica e l'impatto trasformativo del messaggio neotestamentario. Questo studio etimologico e filologico ci invita non solo a leggere la Bibbia, ma a immergerci più profondamente nel suo testo originale per riscoprire la piena risonanza di parole che sono il cuore pulsante della fede, della speranza e dell'amore cristiani. Nei testi greci originali del Nuovo Testamento, la frase in cui Gesù dice "Ama il prossimo tuo come te stesso" si trova principalmente in due Vangeli sinottici: Matteo 22:39 e Marco 12:31.
Ecco la frase originale in greco, con la traslitterazione e la traduzione:
Matteo 22:39: Ἀγαπήσεις τὸν πλησίον σου ὡς σεαυτόν.
Ἀγαπήσεις (Agapēseis): Amerai (dal verbo ἀγαπάω - agapaō, amare)
τὸν πλησίον (ton plēsion): il prossimo (il vicino)
σου (sou): tuo
ὡς (hōs): come
σεαυτόν (seauton): te stesso
Marco 12:31: Ἀγαπήσεις τὸν πλησίον σου ὡς σεαυτόν.
La frase è identica in entrambi i passaggi.
Questa citazione di Gesù è ripresa direttamente dal Vecchio Testamento, precisamente da Levitico 19:18, che nella traduzione greca della Settanta (LXX) suonava:
καὶ ἀγαπήσεις τὸν πλησίον σου ὡς σεαυτόν.
Ecco la frase originale in ebraico:
וְאָהַבְתָּ לְרֵעֲךָ כָּמוֹךָ
Traslitterazione (approssimativa): Ve'ahavta lere'akha kamokha
Scomposizione e significato:
וְאָהַבְתָּ (ve'ahavta): E amerai (dal verbo אָהַב - ahav, amare, con il vav congiuntivo "e" e la coniugazione al futuro/imperativo per la seconda persona singolare maschile).
לְרֵעֲךָ (lere'akha): al tuo prossimo / al tuo compagno (da רֵעַ - re'a, compagno, amico, prossimo, con la preposizione לְ - le, a/per, e il suffisso possessivo ךָ - kha, tuo).
כָּמוֹךָ (kamokha): come te stesso (da כְּמוֹ - kemo, come, simile a, e il suffisso possessivo ךָ - kha, tuo, riferito a "te stesso").
Quindi, la traduzione letterale è "E amerai il tuo prossimo come te stesso".
A prima vista, la traduzione greca appare estremamente fedele all'originale ebraico, quasi una trasposizione letterale. E in effetti, lo è. Tuttavia, ogni lingua porta con sé un proprio "mondo" di concetti e connotazioni, e anche in una traduzione così diretta, alcune sfumature possono emergere o essere accentuate.
L'Originale Ebraico: וְאָהַבְתָּ לְרֵעֲךָ כָּמוֹךָ (Ve'ahavta lere'akha kamokha)
Analizziamo i termini chiave:
אָהַב (ahav - amare): Questo verbo in ebraico è molto versatile. Può indicare amore nel senso affettivo (tra persone, tra Dio e Israele), ma anche un amore basato sulla lealtà, l'impegno e l'azione. Non è solo un sentimento, ma un'adesione volontaria e un comportamento che ne deriva. Può riferirsi all'amore per la giustizia, per la sapienza, o per i comandamenti. Implica un legame profondo e un'attenzione al benessere dell'amato.
רֵעַ (re'a - prossimo/compagno): Questo termine è cruciale. Sebbene "prossimo" sia la traduzione più comune, re'a ha un significato più specifico di "compagno", "amico", "vicino", "socio". Nel contesto di Levitico 19, è inserito in una serie di comandamenti che regolano le relazioni all'interno della comunità di Israele. Molti studiosi ritengono che in questo contesto immediato, re'a si riferisse primariamente a un connazionale israelita, un membro della propria comunità. Questo non esclude l'amore per lo straniero (anch'esso comandato in Levitico, vedi 19:33-34), ma l'enfasi qui è sulla solidarietà interna.
כָּמוֹךָ (kamokha - come te stesso): Questa espressione stabilisce il parametro dell'amore. L'amore per sé stessi è dato per scontato come naturale e serve da misura per l'amore verso l'altro. Non è un invito all'egoismo, ma a estendere all'altro la stessa cura, considerazione e desiderio di benessere che si ha per sé.
La Traduzione Greca:
Ἀγαπήσεις τὸν πλησίον σου ὡς σεαυτόν
(Agapēseis ton plēsion sou hōs seauton)
Questa è la traduzione che troviamo nella Septuaginta (LXX), la versione greca dell'Antico Testamento, e che viene poi ripresa nel Nuovo Testamento.
ἀγαπάω (agapaō - amare): Come discusso in precedenza, nel greco classico, agapaō era un termine meno comune e spesso più generico rispetto ad eros o philia. Tuttavia, nella LXX e soprattutto nel Nuovo Testamento, acquisisce un significato profondo di amore incondizionato, altruistico, basato sulla volontà e sull'azione, non primariamente sull'emozione o sulla reciprocità. Questo è l'amore che Dio ha per l'umanità. L'uso di agapaō per tradurre ahav nel comandamento rafforza l'aspetto di un amore che è una scelta etica e un impegno, piuttosto che un mero sentimento.
πλησίον (plēsion - prossimo/vicino): Questo termine greco significa letteralmente "vicino", "colui che è vicino" o "il prossimo". È la traduzione più diretta di re'a. Tuttavia, nel contesto del Nuovo Testamento e dell'insegnamento di Gesù (in particolare nella parabola del Buon Samaritano), il concetto di plēsion viene espanso universalmente. Non è più limitato al connazionale o al membro della propria comunità, ma include chiunque si trovi in bisogno, anche se è un "nemico" o un "diverso". Questa espansione è l'innovazione cristologica fondamentale.
ὡς σεαυτόν (hōs seauton - come te stesso): Questa parte rimane una traduzione diretta e fedele dell'ebraico kamokha. Il parametro dell'amore rimane l'amore per sé stessi, inteso come il desiderio naturale di benessere e rispetto che si estende all'altro.
La traduzione greca di questo comandamento è estremamente fedele all'originale ebraico a livello lessicale e sintattico. I termini sono equivalenti e la struttura della frase è identica.
Le differenze di significato non risiedono tanto in una "infedeltà" della traduzione, quanto piuttosto:
Nell'Evoluzione Semantica dei Termini nel Contesto Religioso:
Amore (agapaō vs ahav): Sebbene ahav in ebraico includa già un'idea di impegno e azione, l'uso di agapaō nella LXX e poi nel NT ne cristallizza e ne esalta la dimensione altruistica e incondizionata, distinguendola da altre forme di amore (come l'amore passionale o d'amicizia). Questo rafforza l'idea di un amore che è un atto di volontà.
Prossimo (plēsion vs re'a): Qui risiede la differenza più significativa, non tanto nella traduzione della parola in sé, quanto nell'interpretazione e nell'applicazione del concetto. Mentre re'a nell'ebraismo biblico antico tendeva a riferirsi più specificamente al "membro della comunità del patto", Gesù, attraverso la sua predicazione, espande radicalmente il significato di plēsion per includere qualsiasi essere umano, anche colui che è tradizionalmente considerato "altro" o "nemico". Questa è un'espansione teologica e morale, non una debolezza della traduzione.
Nel Contesto Teologico in Cui Viene Usata:
Nel Vecchio Testamento, il comandamento è parte della Legge data a Israele per regolare la vita della sua comunità.
Nel Nuovo Testamento, Gesù eleva questo comandamento (insieme all'amore per Dio) a cardine dell'intera Legge e dei Profeti, rendendolo universale e la base della nuova etica cristiana, che trascende i confini etnici o religiosi.
In conclusione, la traduzione greca è profondamente fedele al testo ebraico originale nella sua letteralità. Le eventuali "differenze" non sono errori di traduzione, ma piuttosto:
Un'accentuazione di certe sfumature (l'aspetto incondizionato e volitivo dell'amore agape).
Una rielaborazione e universalizzazione del concetto di "prossimo" nel contesto dell'insegnamento di Gesù.
Questa espansione del significato è voluta e costituisce un punto centrale del messaggio cristiano, che prende una radice biblica e la estende in una nuova direzione universale. La formulazione specifica "fede, speranza e carità (amore)" come virtù teologali e la loro esplicita menzione insieme in un'unica frase è un tratto distintivo del pensiero cristiano, in particolare della tradizione paolina. Nelle altre religioni, i concetti esistono e sono interconnessi, ma la loro presentazione formale come una triade unificata è meno comune. Il termine agape (ἀγάπη in greco antico) è una delle parole più significative e profonde per esprimere il concetto di "amore" nella lingua greca, in particolare nel contesto cristiano. A differenza di altri termini greci per l'amore come eros (amore passionale, desiderio, spesso di natura fisica), philia (amore fraterno, amicizia, affetto reciproco) o storge (amore familiare, affetto naturale), l'agape si distingue per le sue connotazioni specifiche:
Amore incondizionato e sacrificale: L'agape non dipende dalle qualità o dal valore dell'oggetto amato. È un amore che si dona liberamente, senza aspettarsi nulla in cambio e senza essere motivato dall'attrattiva o dal piacere che l'altro può offrire. È un amore che è disposto a sacrificarsi per il bene dell'altro, anche a costo di sofferenza personale.
Amore basato sulla volontà: Mentre l'eros e la philia possono essere visti come sentimenti che "capitano", l'agape è spesso descritta come un atto di volontà, una scelta deliberata di benevolenza e di ricerca del bene superiore dell'altro. Non è primariamente un'emozione, ma un'azione e un orientamento del cuore.
Amore divino e altruistico: Nel Nuovo Testamento, l'agape è il termine usato per descrivere l'amore di Dio per l'umanità (es. Giovanni 3:16: "Dio ha tanto amato [ἠγάπησεν - forma verbale di agape] il mondo da dare il suo Figlio unigenito..."). È un amore che Dio estende anche a coloro che non lo meritano o che gli sono ostili. I cristiani sono chiamati a imitare questo tipo di amore verso Dio e verso il prossimo, anche verso i nemici.
Amore che edifica: Nel famoso capitolo sull'amore di Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (1 Corinzi 13), l'agape è descritta con una serie di qualità: è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si irrita, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si compiace della verità. Tutto sopporta, tutto crede, tutto spera, tutto tollera.
In sintesi, l'agape è il tipo di amore che la Bibbia e la teologia cristiana mettono al centro. Non è un amore romantico o di amicizia basato sulla somiglianza o sul reciproco piacere, ma un amore che cerca attivamente il benessere dell'altro, anche se l'altro non è "amabile" o non ricambia. È l'amore che si manifesta in azioni e nella dedizione al bene altrui.