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Belzebù e le Civiltà Antiche: Una Nuova Chiave di Lettura per la Storia dell'Umanità


Le narrazioni convenzionali sulla storia dell'umanità spesso iniziano con le civiltà mesopotamiche ed egizie, considerate le culle della civiltà. Tuttavia, figure come George Ivanovich Gurdjieff, nel suo enigmatico testo "I Racconti di Belzebù a suo Nipote", propongono una visione radicalmente diversa, suggerendo l'esistenza di civiltà molto più antiche e avanzate, la cui memoria è andata quasi completamente perduta. Secondo Gurdjieff, dopo il cataclisma che portò all'inabissamento di Atlantide intorno al 10.500 a.C., in Asia fiorirono tre grandi civiltà principali: "Tikliamuish" (nel deserto del Karakum), "Maralpleissis" (nel deserto del Gobi) e "Perlania" (in India). Una quarta civiltà di rilievo si sviluppò in Egitto. Questa prospettiva, sebbene non convalidata dall'archeologia ortodossa, offre uno stimolante quadro per reinterpretare enigmatiche scoperte e fenomeni storici. Questo articolo si propone di esplorare la plausibilità di queste civiltà asiatiche (escludendo Perlania per focus) e quella egizia, basandosi su evidenze archeologiche e paleoclimatiche che indicano un periodo in cui le attuali lande desolate erano terre rigogliose, e la desertificazione, secondo Gurdjieff, innescò migrazioni su larga scala, fornendo una potenziale spiegazione per l'improvvisa comparsa di civiltà avanzate come i Sumeri e l'enigma di Çatal Hüyük.


Il Contesto Paleoclimatico: 

Quando i Deserti Fiorivano (10.000 a.C. - 3000 a.C.)

La chiave per dare plausibilità alle affermazioni di Gurdjieff risiede nella comprensione dei profondi cambiamenti climatici che hanno modellato il nostro pianeta nel periodo post-glaciale. Il lasso di tempo tra il 10.000 a.C. e il 3000 a.C. non fu statico; al contrario, fu un'epoca di notevoli oscillazioni climatiche che influenzarono drasticamente la geografia e l'abitabilità di vaste regioni.


Il Sahara Verde e il Periodo Umido Africano

Il deserto del Sahara, oggi la più grande distesa arida del mondo, non è sempre stato così. Esistono abbondanti prove paleoclimatiche che dimostrano l'esistenza di un "Sahara Verde" o "Periodo Umido Africano" (African Humid Period - AHP), che si estese approssimativamente dal 10.500 a.C. al 6.000-5.000 a.C. Durante questo periodo, l'intensificazione del monsone africano portò a un aumento significativo delle precipitazioni, trasformando gran parte del Sahara in una savana lussureggiante, punteggiata da laghi, fiumi e una ricca biodiversità. Numerosi siti archeologici, come Tassili n'Ajjer in Algeria e Nabta Playa in Egitto, testimoniano la presenza di popolazioni umane che vivevano di caccia, pesca e pastorizia. Le pitture rupestri raffigurano giraffe, elefanti e coccodrilli, animali che richiedono un ambiente molto più umido di quello attuale. La civiltà egizia, o almeno i suoi precursori, avrebbe potuto facilmente fiorire in questo contesto di abbondanza. L'inizio della desertificazione del Sahara, graduale ma inesorabile, intorno al 6.000-5.000 a.C., avrebbe spinto le popolazioni verso la valle del Nilo, contribuendo alla nascita delle prime organizzazioni statali egiziane.


L'Asia Centrale e il Gobi: Ambienti Mutevoli

Anche i vasti deserti dell'Asia Centrale, come il Karakum e il Gobi, hanno conosciuto periodi di maggiore umidità. Sebbene le evidenze siano meno drammatiche rispetto al Sahara, studi paleoclimatici, basati su carote di ghiaccio, sedimenti lacustri e polline fossile, indicano fluttuazioni climatiche significative.

  • Deserto del Karakum (Tikliamuish): Durante il primo Olocene (10.000 a.C. - 6.000 a.C. circa), l'Asia Centrale ha beneficiato di condizioni più umide rispetto all'aridità attuale. I fiumi Amu Darya e Syr Darya, così come altri corsi d'acqua minori, avevano portate maggiori e si estendevano in sistemi deltaici più ampi, creando oasi e zone umide. Le indagini archeologiche nella regione hanno rivelato tracce di insediamenti neolitici e calcolitici, come quelli legati alla cultura Kelteminar, che fiorirono in aree oggi aride. Queste culture erano basate sulla caccia, la pesca e la raccolta, e in seguito svilupparono forme primitive di agricoltura e pastorizia. È quindi plausibile immaginare che un centro di civiltà come "Tikliamuish" abbia potuto esistere in un periodo in cui le risorse idriche erano più abbondanti e il clima più mite.

  • Deserto del Gobi (Maralpleissis): Il deserto del Gobi, sebbene intrinsecamente più arido a causa della sua posizione continentale e dell'ombra pluviometrica dell'Himalaya, ha anch'esso attraversato fasi di maggiore umidità. Tra il 10.000 a.C. e il 7.000 a.C. circa, e in periodi successivi di minore entità, l'espansione dei laghi e una maggiore copertura vegetale sono documentate da studi paleobotanici e geomorfologici. Sebbene non si tratti di una trasformazione in savana, un aumento della disponibilità idrica avrebbe potuto sostenere insediamenti più densi e complessi di quanto non sia possibile oggi. Le prove archeologiche nella regione del Gobi, come quelle relative alla cultura di Khereksuur, suggeriscono la presenza di gruppi di cacciatori-raccoglitori e allevatori che si adattavano alle condizioni ambientali.


La "Terza Catastrofe" e la Grande Migrazione

Gurdjieff nel suo "Belzebù" parla di una "terza catastrofe" che colpì la Terra, portando alla desertificazione di vaste aree. Questa descrizione si allinea notevolmente con il progressivo inaridimento delle regioni menzionate, in particolare il Sahara e, in misura minore, le steppe asiatiche, a partire dalla metà del Holocene. La transizione da un clima umido a uno più arido non fu un evento istantaneo, ma un processo graduale che si protrasse per millenni. Man mano che l'acqua diventava scarsa e la vegetazione si ritraeva, le popolazioni di queste civiltà, come "Tikliamuish" e "Maralpleissis", sarebbero state costrette a migrare alla ricerca di nuove terre abitabili. Questa "grande migrazione" di massa, causata da un cambiamento climatico catastrofico su scala regionale, potrebbe essere la chiave per spiegare alcuni dei più grandi enigmi archeologici.


Le Migrazioni e le Loro Impronte: Çatal Hüyük e i Sumeri

Le civiltà di Gurdjieff, sebbene non riconosciute dall'archeologia mainstream, offrono una lente intrigante per riconsiderare fenomeni apparentemente inspiegabili:


Çatal Hüyük: La "Prima Città" Senza Precedenti Locali

Çatal Hüyük, nell'attuale Turchia, è uno dei siti neolitici più affascinanti del mondo, spesso definita la "prima città" per le sue dimensioni e complessità. Fiorì tra il 7.500 e il 5.700 a.C. circa. Ciò che rende Çatal Hüyük particolarmente enigmatico è la sua comparsa relativamente improvvisa e il suo alto livello di organizzazione sociale, urbanistica e artistica, con poche chiare tracce di uno sviluppo graduale locale che portasse a tale complessità. Se accettiamo la possibilità delle migrazioni da civiltà più antiche e sofisticate come quelle descritte da Gurdjieff, la "comparsa" di Çatal Hüyük potrebbe essere spiegata come l'insediamento di popolazioni provenienti da regioni che stavano diventando inospitali. I migranti avrebbero portato con sé conoscenze e tecniche avanzate, adattandole al nuovo ambiente. L'abilità nella costruzione, l'organizzazione sociale e le pratiche simboliche osservate a Çatal Hüyük potrebbero essere un'eco di tradizioni consolidate altrove, trasportate da popoli in fuga dalla desertificazione delle loro terre d'origine.


I Sumeri: Una Civiltà dal Nulla?

Forse l'enigma più grande della storia antica è l'improvvisa apparizione della civiltà sumera in Mesopotamia (attuale Iraq) intorno al 4.500-4.000 a.C. I Sumeri sembrano emergere sulla scena storica già con una complessa scrittura cuneiforme, sofisticate tecniche agricole (sistemi di irrigazione avanzati), architettura monumentale (ziqqurat), organizzazione statale e una ricca mitologia. Non ci sono evidenze archeologiche chiare di un lungo e graduale sviluppo di queste tecnologie e strutture sociali sul suolo mesopotamico che giustifichi un tale livello di sofisticazione iniziale. La teoria delle migrazioni da civiltà gurdjieffiane offre una soluzione convincente. Se le popolazioni di "Tikliamuish" o "Maralpleissis", già altamente sviluppate, furono costrette a spostarsi a causa dell'inaridimento dei loro territori tra il 6.000 e il 3.000 a.C., la Mesopotamia, con la sua fertilità garantita dai fiumi Tigri ed Eufrate, sarebbe stata una destinazione ideale. I "Sumeri" potrebbero non essere stati un popolo che si sviluppò autonomamente in Mesopotamia, ma piuttosto i discendenti o i portatori di una cultura preesistente e tecnologicamente avanzata, che si reinsediò in una nuova regione, dando vita a quella che noi oggi riconosciamo come la prima grande civiltà mesopotamica. La "terza catastrofe" di Gurdjieff, che potremmo identificare con il culmine della desertificazione delle terre ancestrali, avrebbe agito come un catalizzatore per un esodo che avrebbe ridistribuito la conoscenza e le pratiche civilizzate in nuove aree, stimolando così lo sviluppo di quelle che consideriamo le prime civiltà storiche.


Riscrivere la Storia con una Nuova Lente

La visione di Gurdjieff sulle antiche civiltà di Tikliamuish, Maralpleissis e la prima civiltà egizia, sebbene speculativa, trova una sorprendente risonanza con le attuali conoscenze paleoclimatiche e archeologiche relative al periodo tra il 10.000 a.C. e il 3.000 a.C. Il concetto di "terza catastrofe" come motore di migrazioni di massa e la successiva fondazione di nuove civiltà in regioni fertili offre una spiegazione affascinante per fenomeni come l'emergere apparentemente improvviso di Çatal Hüyük e dei Sumeri. Non si tratta di sostituire la storia accademica con una narrativa esoterica, ma piuttosto di utilizzare la prospettiva di Gurdjieff come un'ipotesi di lavoro per esplorare le lacune e gli enigmi della nostra comprensione del passato. Le evidenze di un Sahara verde, di un'Asia Centrale più umida, e l'inizio della desertificazione di queste aree sono fatti scientificamente accettati. La coincidenza temporale di questi cambiamenti climatici con la comparsa delle prime grandi civiltà in Mesopotamia e Anatolia è notevole. Le "città perdute" nei deserti asiatici e i loro abitanti, descritti da Gurdjieff, potrebbero non essere solo frutto di un'immaginazione fervida, ma un'eco distorta o simbolica di un'epoca in cui la mappa della civiltà sulla Terra era radicalmente diversa. Reinvestigare queste regioni con la mente aperta alle possibilità suggerite da Gurdjieff, integrando discipline diverse come l'archeologia, la paleoclimatologia e la geologia, potrebbe un giorno rivelare prove tangibili di queste "radici perdute" e riscrivere, in modo significativo, la storia delle origini dell'umanità.




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