“Lasciate che i bambini vengano da me; non fermateli, poiché è a costoro che appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto”.
Marco 10:14–15
Il mio duraturo interesse per Gurdjieff, compreso ciò che ricordo di lui, è il potere che manifestò, non solo nelle sue opere scritte, ma nel portamento della sua persona e nella spinta del suo insegnamento. In sua presenza nessuno mai rimase indifferente al suo potere d’essere. Forse questo è più vero per i bambini che per gli adulti, perché i bambini da lui venivano relativamente sgravati dalle influenze sociali e dalle interferenze intellettuali. Sembravano aperti senza riserve, senza domande o diffidenza. Lo considerarono in base a ciò che videro di lui. Gurdjieff disse che i bambini attorno a lui lo conoscevano “nella pelle”. Quando Gurdjieff fondò il suo “Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo”, prima a Essentuki, poi a Costantinopoli, Hellerau, Fontainebleau e New York, dedicò tempo ed energie considerevoli all’insegnamento dei bambini e degli adulti. Sebbene, di tanto in tanto, si rivolgesse ai bambini in un contesto di insegnamento, impartiva loro lezioni di vita in molti modi diversi. Si può dire che la sua infanzia sia servita da modello di educazione. Come i suoi ricordi autobiografici suggeriscono in Incontri con Uomini Straordinari, il bambino Gurdjieff sviluppò una capacità di ascolto, in particolare verso suo padre e gli amici di suo padre, e ciò che sentiva lo ricordava. In breve, sviluppò in età molto giovane una memoria comune tra i narratori orali che egli ascoltava. Di conseguenza, qualunque cosa leggesse veniva impressa automaticamente nella sua prodigiosa memoria. Un volantino del febbraio 1921 che annunciava le sue lezioni all’Istituto in via Yéménédji a Pera, rifletteva ciò che lui stesso aveva imparato in gioventù. I corsi, offerti a importi diversi in tirest (lire turche), erano:
1. Pittura e disegno (Alexandre de Salzmann e Feldmann)
2. Musica (Thomas de Hartmann)
3. Lingue: inglese, francese e tedesco (Miss Englington e il Professor Stettler)
4. Ginnastica ritmica plastica
5. Ginnastica medica (Diretta dal dottor Stjernvall)
6. Lezioni e conferenze (Sotto la direzione di Ouspensky)
È interessante notare che fu annunciata anche una sezione per bambini (dai 4 ai 10 anni) che offriva lezioni di musica, danza, canto, ginnastica, lavori manuali, giochi e lingue che includevano inglese, tedesco, francese, russo, italiano, greco, polacco e armeno. Sembrerebbe che, da ragazzo, Gurdjieff non abbia mai esitato a esplorare strade di crescita che richiedessero di lasciare la sua casa e la scuola per familiarizzare con altre civiltà. Divenne abile nell’adottare altre modalità culturali e le loro lingue. In breve, Gurdjieff imparò a recitare dei ruoli. Ogni esperienza era, in effetti, una lezione di recitazione. La sua successiva istruzione ai bambini consisteva in gran parte nella guida in queste particolari abilità. Più di un ex-allievo disse che Gurdjieff era un “padre” per lui. Il punto di vista di Gurdjieff era di essere un “padre” per i molti che trattava con cura paterna, oltre a suo nipote, alle nipoti e ai figli dei soci che avevano giocato sui prati del Prieuré. Sembra strano che le attuali biografie di Gurdjieff facciano poco riferimento ai bambini che erano con lui nel Caucaso, a Costantinopoli, a Berlino, in Francia e negli Stati Uniti. C’era una grande popolazione di bambini di tutte le età al Prieuré di Fontainebleau-Avon. Un filmato realizzato da un allievo nell’estate del 1929 mostra una ventina di bambini che eseguono l’esercizio dello “stop” e fanno dei movimenti sul prato antistante. Il maggiore dei figli era Valentin (“Valia”) Anastasieff. Luba, Genia e Lida Gurdjieff, Fritz Peters, Natalie de Salzmann, Nikolai de Stjernvall e Michel de Salzmann, sono tutti riconoscibili nel filmato. I bambini piccoli del Prieuré giocavano insieme sull’ampio prato davanti alla casa principale.
IL GIOCO DELLO STOP
Il gioco più popolare era quello dello “stop”, in cui una fila di bambini si formava dietro a qualcuno con gli occhi rivolti dall’altra parte. I bambini correvano attraverso il prato fino a quando la persona non diceva “stop” mentre si girava per vedere chi non era riuscito a “congelarsi” in una posizione. La pratica di fermare il proprio movimento li preparò per i “movimenti” più avanzati e le danze sacre. Spesso Gurdjieff osservava il gioco dei bambini dai gradini del Prieuré.
IL GIOCO DELL'ATTENZIONE
Nikolai de Stjernvall mi parlò di un esercizio sull’attenzione che i bambini avrebbero svolto al Prieuré. Gurdjieff, o un’altra persona, mandava un bambino in un certo punto, nel quale doveva stare in piedi e contare fino a dieci, poi doveva tornare e riferire ciò che aveva osservato. Cinque o sei bambini, alternativamente, si recavano nello stesso punto e per lo stesso lasso di tempo, quindi tornavano e riferivano ciò che avevano osservato. A quel punto il supervisore avrebbe comunicato ai bambini le differenze riportate nell’osservazione. Qualcuno si sarebbe chiesto il perché non aveva visto anche ciò che aveva visto un altro. Osservare bene richiede attenzione e memoria. Gurdjieff ammoniva i bambini che sembravano mancare di attenzione con l’espressione “Pomnie Sebya”: “Ricordati di te”.
IL GIOCO DEI SOLDI
Lillian Firestone parla di un ricordo di Jeanne de Salzmann riguardante una lezione sui soldi che Gurdjieff diede a suo figlio. Un giorno, quando Michel, il giovane figlio della signora de Salzmann, voleva dei soldi per comprare qualcosa di speciale, il signor Gurdjieff sentì la richiesta e disse: “Michel, puoi tenere tutti i soldi che ti darò finché riesci a sommarli”. Michel era ansioso per la sfida. “Stendi la mano”, disse il signor Gurdjieff, e iniziò a deporre lentamente i soldi nel palmo aperto del ragazzo. Al principio c’erano delle monete… un franco, due franchi. Michel calcolò la somma e cantò felicemente il totale. Poi Gurdjieff aumentò il ritmo. Aggiunse cinque, dieci, venti franchi, mentre il ragazzo si sforzava di continuare l’addizione. Michel sapeva che finché avesse mantenuto la sua attenzione, sarebbe riuscito a contare. Ma mentre il ritmo della cascata di denaro aumentava, la paura di perderlo cominciò a distrarlo. Sempre più velocemente le banconote arrivarono a travolgere la sua determinazione, finché alla fine perse il conto. La partita si concluse guadagnando solo quello che era stato in grado di contare. Gurdjieff non aveva scrupoli morali contro il gioco d’azzardo. Infatti, incoraggiava il gioco d’azzardo come esercizio. Katherine Hulme ricorda che Gurdjieff disse: “Ho un’usanza, sempre a Monte Carlo. A tutti i bambini do dei soldi, e loro li devono giocare tutti al Casinò, e dopo… darmi metà delle loro vincite”. Nel complesso, i bambini erano in soggezione nei confronti di Gurdjieff, e lui li lusingava chiamandoli “candidati per l’iniziazione”. Il comportamento a tavola era particolarmente importante per Gurdjieff, che spesso paragonava le maniere disinvolte degli occidentali ai modi contenuti e quasi sacri degli orientali. Ogni tanto qualche bambino riceveva direttamente dalla mano di Gurdjieff un po’ di vodka russa. Nell’ordine degli idioti, un bambino era un “idiota informe” o “aspirante per l’idiota ordinario”. Gurdjieff usava le occasioni in cui i bambini erano riuniti in sua compagnia per dare loro lezioni di “vita”. In effetti, Gurdjieff incoraggiò i bambini a considerare che l’uso proficuo del denaro richiedeva un attento uso del pensiero. Elizabeth Bennett registrò un incidente a Chamonix che illustra bene il punto. Dopo aver finito un dessert a base di meloni e fragole nella sala da pranzo dell’hotel, Gurdjieff invitò gli altri a prendere il caffè nell’atrio. Prima di andarsene, sollevò la sua buccia di melone mezzo mangiato e domandò chi avrebbe potuto pulirlo in modo tale che potesse essere dipinto – perché l’indomani avrebbe voluto dipingere questa buccia e regalarla a un amico. Paul disse che l’avrebbe fatto, e il signor Gurdjieff disse che Eve (la sorella di Paul) avrebbe potuto aiutarlo, e che se lo avessero fatto correttamente gli avrebbe dato 1.000 franchi. Quando uscì dalla sala da pranzo, Eve e Paul erano ancora seduti al tavolo, con le teste unite sulla buccia del melone. Dopo un po’, Paul tornò con la sua buccia di melone e la mostrò al signor Gurdjieff. Si chinarono insieme, molto solenni, e poi Gurdjieff disse di no, non era abbastanza buono, non doveva rimanere nulla di giallo. Paul andò solennemente a prendere una lama di rasoio, e mentre il signor Gurdjieff lo guardava andare via, rise e disse: “Guarda ora che educazione ha. Fino ad ora non sapeva niente, sapeva solo mangiare e cagare, non lavorava mai con questo”, battendosi la fronte, “ora questo è il suo primo lavoro”. Quando Paul ritornò nuovamente dopo un intervallo, la buccia era perfetta. Il signor Gurdjieff la piegò, se la mise in tasca, gli diede i 1.000 franchi e disse: “Non dimenticare sorella”. Gurdjieff ha spesso affrontato il tema della comprensione da parte di un bambino del valore del denaro, sia il valore astratto che quello “reale”. Ad esempio, assegnava ai bambini dei “compiti” che richiedevano attenzione. A New York aveva un bambino che mandava alla ricerca di alcune prelibatezze che intendeva servire a tavola. Era abbastanza facile trovare negozi dove si potevano trovare delizie turche e halvah, che gli piacevano, mentre ci voleva più iniziativa per trovare teste di pecora, cammello e carne d’orso. Nel 1948 diede mille dollari a uno dei bambini affinché comprasse i regali di Natale per gli ospiti delle vacanze al Wellington Hotel. In altre parole, la lezione di Gurdjieff era che il denaro ha un valore sia reale che simbolico, o due “valori reali” a seconda dei materiali coinvolti, ad esempio, la carta ha un valore maggiore dell’argento, ed è apparentemente una contraddizione di fatto. Gurdjieff aiutava i bambini a riconsiderare il valore delle cose. In una lettera del 1926 a Edith Taylor, Jean Toomer scrisse:
"La piccola Leda era in qualche modo entrata in possesso di un orologio giocattolo a buon mercato e ci si era affezionata parecchio. Un giorno, mentre erano seduti in un caffè, Gurdjieff la vide baciarlo e accarezzarlo. Si allungò, glielo strappò dalle mani, lo gettò sul marciapiede e lo schiacciò con il piede. Leda aveva il cuore spezzato, andò da suo padre (Dmitri) e pianse amaramente. Per tutto il giorno fu inconsolabile. Gurdjieff non le prestò attenzione. Ma il giorno dopo comprò e le diede un autentico orologio".
Tali esercizi erano anche lezioni per poter distinguere l’utilizzo di energia in qualcosa di utile dalla produzione sfrenata di rifiuti. Usare correttamente un meccanismo come un orologio è un esercizio di attenzione, come lo è scommettere in un Casinò. Implica l’essere “svegli”, mentre l’energia non orientata o sconsiderata è l’ozio o il sonno. Nella sua suite dell’Hotel Wellington a New York City, durante il suo soggiorno dal 1948 al 1949, in uno dei suoi discorsi disse ai bambini che era uno spreco di energia mentale ricordare qualcosa che si poteva, in seguito, dimenticare. Poi aggiunse: “Non dimenticate nulla”. Coloro che prestavano attenzione erano confusi da un’apparente contraddizione, ma un’ulteriore riflessione gli fece capire che Gurdjieff stava dando loro una lezione sull’allenamento della memoria. Nello stesso discorso parlò delle influenze genitoriali ed educative sui bambini, sottolineando al suo pubblico giovanile che ciò che indossavano e ciò che dicevano ai loro anziani rifletteva l’apprendimento meccanico, una convenzione sociale che deplorava. Niente illustra meglio ciò che intendeva della vicenda che racconta sulle due studentesse di Pietroburgo, Elizabeth e Mary, che furono indottrinate dalla loro direttrice con idee di repressione sessuale che negavano alle ragazze la conoscenza acquisita dall’osservazione della natura. Le due, infine, si suicidarono per la vergogna dei loro sentimenti naturali dinnanzi alle immagini e ai suoni della primavera nel mondo animale. Disse che i bambini dormivano troppo a lungo, che sei ore sarebbero state sufficienti una volta imparato a dormire in modo efficiente. Disse che si poteva dormire anche di giorno e menzionò che c’erano dei modi per misurare l’efficienza del sonno. Un mezzo era tenere una matita tra le dita, appisolarsi, e quando la matita cadeva, sarebbe bastato quel pisolino. “Se dormite troppo a lungo – egli spiegò – sognate, e quando sognate non raccogliete energia in modo efficiente, potreste persino perdere energia. Anche per addormentarsi profondamente è necessario trasferire la forza da un centro all’altro. Si può farlo svuotando la mente dal pensiero e il corpo dal sentimento e dal movimento. Iniziate ricordando e poi dimenticando la testa, per diffondere l’energia mentale in tutto il resto del corpo; poi proseguite verso il basso attraverso il resto del corpo, fino a quando la concentrazione esce attraverso le dita dei piedi”. Parlò anche dell’importanza di essere consapevoli del respiro, in particolare mentre si parla, perché la forza della parola ha a che fare con la capacità di respirare correttamente. Il respiro, ha detto, è legato ai ritmi corporei come le pulsazioni. Ha detto che la respirazione consapevole concentra il pensiero e, cosa più importante, l’assenza di pensiero. È importante sapere come non pensare a nulla, in modo che i centri del corpo possano funzionare indipendentemente. Quanto al respiro nel parlare: “Ascolta te stesso quando parli. Quello che senti e quello che sentono gli altri non sono la stessa cosa. Una parola pronunciata ha due poteri, interiore ed esteriore. Una persona può muovere le cose con il potere della voce, e il potere della voce dipende dal respiro”. Tuttavia, ci ha messo in guardia contro il tentativo di controllare la respirazione: “Osserva il respiro, ma non alterarlo artificialmente”. In questo senso, nella sua conferenza di Chicago del 26 marzo 1924, Gurdjieff spiegò che il respiro è un’azione meccanica naturale il cui ritmo non deve essere disturbato, e avvertì che la respirazione controllata artificialmente di solito porta alla disarmonia. E concluse: “Se qualcuno qui sta sperimentando la respirazione, è meglio fermarsi finché è ancora in tempo”. Anche Ouspensky, il 3 marzo 1922, mise in guardia i suoi allievi londinesi contro la respirazione modificata artificialmente. Il taoista Chuang Tzu disse che un vero saggio respira dai talloni, gli altri dalla gola. “Il “Tutto” è l’essenza, e “Ogni Cosa” è la personalità”, ci disse Gurdjieff. Egli rimproverò alcuni di noi per il nostro modo di vestire. Tutti i ragazzi indossavano giacche e cravatte, e le ragazze indossavano vestiti, o gonne e camicette. Chiese se ci vestivamo così perché i nostri genitori erano preoccupati per il nostro aspetto. Alla risposta positiva di un bambino, disse che gli americani sono ossessionati dall’aspetto, sia verbale che materiale. Gurdjieff: “Non seguite le regole date dai vostri genitori. Create le vostre regole. Non identificatevi con il ruolo che vostra madre o vostro padre desiderano che voi interpretiate per il loro interesse egoistico. Quando ringraziate qualcuno, ringraziate per quello che comprendete, non per quello che i vostri genitori pensano di comprendere e vogliono che voi comprendiate”. Nei “Racconti di Belzebù”, l’inviato dall’alto Ashiata Shiemash condanna l’inganno costruito dai genitori nell’educazione dei propri figli: “Imparate la differenza tra ciò che serve e ciò che desiderate”. Gurdjieff ci ha detto che si può imparare a volere ciò di cui si ha bisogno invece di aver bisogno di ciò che si vuole. Ci disse anche che dovevamo imparare a raccontare storie. “La storia fa la verità”, disse. “Non c’è bisogno di credere a tutto ciò che ti dico, ma è la verità”. “Mai mentire, ma solo recitare ruoli”, aggiunse. “Sii qualcos’altro rispetto a ciò che hai l’abitudine di essere. Sai cosa non sei e puoi sapere cosa sei. Anche Dio recita dei ruoli. Interpretare i ruoli insegna la sincerità, cambia gli atteggiamenti”. Le apparenti contraddizioni di Gurdjieff in quel momento mi confusero. Non mentire, ma celare la verità nelle bugie mi ha richiesto del tempo per riconciliarmi. Orage e Daly King hanno incoraggiato il gioco di ruolo detto “Psicodramma”. William Welch ricorda il gioco di ruolo assegnato da King agli alunni adulti. “Lo scopo non era, ovviamente, quello di essere furbi, ma di confrontarsi in condizioni che non permettessero evasioni”. Un’altra parola che Gurdjieff usava per i bambini che duplicava il “Gioco di Ruolo” era “Partecipazione”, unirsi a un gruppo di giochi di ruolo, e la partecipazione di solito è “sperimentazione”, provare qualcosa di nuovo. Un ragazzo, il figlio di Wim Nyland, chiese come sopportare il dolore. Una volta aveva avuto un terribile mal di denti e aveva cercato di arrestare il dolore cercando di ignorarlo. Gurdjieff rispose che bisognava fare l’esatto contrario, cioè concentrarsi sul dolore: “Il dolore è un linguaggio che il corpo sta parlando alla mente. Ascoltalo, impara a parlarlo e parlagli. Il dolore richiede attenzione e concentrazione. Incita il corpo a riconoscere qualcosa di storto e richiede la collaborazione con la mente al fine di compierlo bene assieme. Quando ci si concentra sul dolore, tutte le cose al di fuori scompaiono. Fai amicizia con il dolore e fai amicizia con te stesso”. Denis Saurat ha riassunto il modo di Gurdjieff di educare i bambini: “Non si dice ai bambini tutta la verità, si danno loro parti della verità preparate con cura che si spera possano favorire lo sviluppo delle loro anime, e talvolta si inventano persino storie, come Babbo Natale, per incoraggiare i bambini ad esprimersi”. Gurdjieff evitava di insegnare ai bambini con precetti sentenziosi. Preferiva gli esempi pratici concreti alla teoria astratta. Adattava gli esempi ai contesti. Il bambino avrebbe dovuto comprendere la pertinenza di una lezione, come quella che diede a Michel sui soldi, e l’esperienza immediata. La conoscenza è materiale. È reale. Il giorno prima di lasciare Parigi, alla fine dell’estate del 1949, mentre scendevo dal mio albergo verso Avenue des Ternes, dove intendevo comprare alcune cose da riportare negli Stati Uniti, notai Gurdjieff tutto solo seduto a un tavolo sul marciapiede di un caffè. Alzò lo sguardo su di me, in quel tipico gesto dei suoi occhi senza dare l’impressione di muovere la testa. Sentivo che voleva andassi da lui. Per me fu un’occasione per salutarlo di persona, e quando attraversai la strada mi fece capire con un cenno del capo che mi sarei dovuto sedere sull’altra sedia. Avevo pensato solo di stringergli la mano e dirgli che stavo per andarmene, ma di nuovo mi fece segno con un movimento della testa per dirmi che non voleva che dicessi niente. “Ora parti”, disse, “ma ci ritroveremo a New York in breve tempo. Quest’estate hai imparato molto qui, lo vedo. Hai sentito molto… tutto è storia. L’uomo paga per la storia. La storia è come il sapone, toglie l’odore del lavoro. Ora sai come interpretare il ruolo del narratore e il ruolo della storia. Dopo, ti ripulisci del corpo e della mente. Nella storia ti fai conoscere agli altri. A New York racconta una storia, e io ti darò cento dollari”. Non avevo detto una parola. Avrei voluto, ma mi salutò con un gesto del braccio. Lo guardai e sorrisi, e lui sorrise. Mi aveva dato un’ultima lezione.
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Nato a Londra, Paul Beekman Taylor ha vissuto da bambino al Prieuré con Gurdjieff, e ha studiato con lui nel 1948 e nel 1949, prima di completare la sua formazione negli Stati Uniti e diventare professore di lingue e letteratura medievale all’Università di Ginevra. È autore di diversi libri su Gurdjieff, tra cui G. I. Gurdjieff: A New Life (Eureka 2008), Gurdjieff’s Invention of America (Eureka 2007), Gurdjieff’s America: Mediating the Miraculous (Lighthouse Editions 2004), Gurdjieff e Orage: Brothers in Elysium (Weiser 2001) e Shadows of Heaven: Gurdjieff e Toomer (Weiser 1998).
