Passa ai contenuti principali

L'Aldilà Svelato: La Visione Teosofica di Annie Besant sulla Morte e la Rinascita


Annie Besant (1847-1933) fu una figura poliedrica e influente del suo tempo: riformatrice sociale, femminista, socialista, attivista per i diritti delle donne e per l'indipendenza indiana, e, soprattutto, una delle più importanti esponenti del movimento teosofico. La sua vita fu un costante percorso di ricerca della verità, che la portò dal fervore religioso giovanile all'ateismo e al secolarismo, per poi approdare alla Teosofia, una filosofia spirituale che divenne il fulcro della sua esistenza e del suo vasto corpus di opere. Tra i suoi numerosi scritti, "Morte: e dopo?" (Death: and After?) si distingue come un'esposizione chiara e concisa delle dottrine teosofiche riguardanti la vita, la morte e l'aldilà. Pubblicato come parte di una serie di manuali volti a rendere accessibili al grande pubblico gli insegnamenti teosofici, questo libro affronta una delle domande più antiche e universali dell'umanità: cosa succede dopo la morte?


Il Contesto Teosofico

Per comprendere appieno il significato di "Morte: e dopo?", è fondamentale inquadrarlo nel contesto della Teosofia. Fondata da Helena Blavatsky, Henry Steel Olcott e William Quan Judge nel 1875, la Società Teosofica si proponeva di promuovere la fratellanza universale senza distinzioni di razza, credo, sesso, casta o colore; incoraggiare lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze; e investigare le leggi inesplicate della natura e i poteri latenti nell'uomo. La Teosofia attinge a tradizioni spirituali orientali e occidentali, proponendo una visione dell'esistenza che include la reincarnazione, il karma e l'evoluzione spirituale dell'anima attraverso cicli di vita e morte. Annie Besant, dopo aver incontrato Madame Blavatsky e aver abbracciato la Teosofia nel 1889, divenne una delle sue più ardenti sostenitrici e, dopo la morte di Olcott, la seconda presidente internazionale della Società Teosofica. La sua eccezionale oratoria e la sua prolifica produzione letteraria la resero una divulgatrice ineguagliabile di questi concetti complessi.


"Morte: e dopo?": Un Viaggio Oltre il Corpo Fisico

In "Morte: e dopo?", Besant si propone di demistificare la morte, presentandola non come una fine spaventosa, ma come una transizione naturale e necessaria nel processo evolutivo dell'anima. Il libro critica le visioni spesso cupe e dogmatiche della morte presenti in molte tradizioni religiose, in particolare quelle cristiane dell'epoca, e offre una prospettiva che mira a portare chiarezza e conforto. Il concetto centrale del libro è che l'uomo non è solo il suo corpo fisico. L'esistenza umana è composta da diversi "veicoli" o "corpi", ognuno corrispondente a un piano di coscienza differente:

  1. Il Corpo Fisico: Il più denso e tangibile, destinato a dissolversi dopo la morte.

  2. Il Doppio Eterico: Una controparte energetica del corpo fisico, che si disintegra anch'essa poco dopo la morte, rilasciando l'energia vitale.

  3. Il Corpo Astrale (Kamaloka): Questo è il "corpo del desiderio" o "corpo emozionale". Dopo la morte fisica, l'anima si ritira in questo veicolo e dimora nel Kamaloka, una sorta di "terra del desiderio". Qui, le passioni e i desideri terreni non ancora purificati vengono gradualmente esauriti. Besant descrive questo stato come un processo di "svestizione", in cui l'anima si libera, uno dopo l'altro, dei suoi involucri esteriori, proprio come un serpente si libera della sua pelle o una farfalla emerge dalla sua crisalide. La durata e la natura dell'esperienza nel Kamaloka dipendono dalla natura dei desideri e delle passioni accumulate durante la vita terrena.

  4. Il Corpo Mentale (Devachan): Una volta che i desideri del Kamaloka sono stati purificati, l'anima si ritira ulteriormente nel corpo mentale, entrando nel Devachan, o "terra del pensiero". Questo è un regno di beatitudine e riposo, dove l'anima assimila le esperienze positive della vita passata e si prepara per la successiva incarnazione. È un periodo di gioia e crescita spirituale, libero dalle limitazioni e dalle sofferenze del piano fisico.

  5. Il Corpo Causale (Anima Immortale): Questo è il veicolo dell'anima immortale, la sede della vera individualità e della coscienza superiore. È il nucleo che persiste attraverso tutte le incarnazioni, accumulando saggezza e esperienza.

Besant sottolinea che la morte è un processo di "disincanto" o "svelamento", in cui la parte immortale dell'uomo si libera dai suoi involucri esterni. L'obiettivo della vita, secondo la Teosofia, è la purificazione e l'evoluzione di questi corpi inferiori, permettendo all'anima di progredire verso stati di coscienza sempre più elevati.


Implicazioni e Rilevanza

"Morte: e dopo?" non è solo un trattato sulla vita oltre la morte, ma un invito a riconsiderare il significato dell'esistenza. Besant argomenta che la conoscenza di questi processi post-mortem può alleviare la paura della morte e infondere un senso di scopo nella vita. Se la morte è solo una porta verso un'altra fase dell'esistenza, allora ogni azione e pensiero in questa vita hanno un'importanza duratura. Il libro è scritto per "uomini e donne impegnati del mondo del lavoro", cercando di rendere chiare "alcune delle grandi verità che rendono la vita più facile da sopportare e la morte più facile da affrontare". Il suo linguaggio è accessibile, e la sua argomentazione logica e rassicurante. L'eredità di Annie Besant è immensa. La sua capacità di connettere l'attivismo sociale con la spiritualità, e di tradurre concetti esoterici in un linguaggio comprensibile, ha lasciato un segno indelebile. "Morte: e dopo?" rimane una testimonianza della sua profonda comprensione della natura umana e del suo impegno nel guidare gli altri verso una maggiore consapevolezza spirituale, offrendo una visione della morte che è non una fine, ma un nuovo inizio.


Annie Besant - Morte: e dopo?





Post popolari in questo blog

Gurdjieff: Cosa significa realmente "Cercare di non esprimere Emozioni Negative"

Di tutte le indicazioni e i suggerimenti di Gurdjieff per l'attuazione pratica delle sue idee, quello che sembra essere stato più persistentemente frainteso è la sua raccomandazione di "cercare di non esprimere negatività". A prescindere da quanto spesso si possa ricordare agli studenti che il Lavoro potrebbe riguardare l'evoluzione psicologica, non si tratta di psicoterapia. Non si tratta di sopprimere o reprimere sentimenti, comportamenti e reazioni. Non si tratta di imparare a fingere di essere al di là della reattività. Non si tratta di migliorare la propria personalità per apparire una persona più gentile o più spirituale. Ho visto persone scoraggiate e frustrate con se stesse per anni, che si chiedevano se stessero fallendo, se non si stessero "impegnando abbastanza" quando riferivano che, nonostante tutti gli sforzi che avessero cercato di mettere in atto, continuavano a sperimentare periodicamente stati interiori di rabbia, ansia, risentimento, irrit...

La morte di Gurdjieff (Dr. William J. Welch)

Fui chiamato al telefono. Da Parigi giunse voce che Gurdjieff fosse gravemente malato, e mi fu chiesto se avessi potuto spedire al suo medico di Parigi dell’albumina sierica che era stata recentemente resa disponibile negli Stati Uniti. Gurdjieff non era stato molto bene quando arrivò a New York nell’inverno del 1948, ma non sembrava gravemente malato e non si era mai messo a letto. Era tormentato da una tosse tracheale spasmodica, un rombo profondo, gorgogliante, che rifletteva non solo un’infiammazione cronica alla base dei suoi polmoni, ma anche il suo amore per le Gaulois Bleu, la popolare sigaretta francese con tabacco nero turco aspro e grasso. La sua circonferenza addominale era eroica, e la sua presenza nel bagno turco, anche se non pantagruelica, era quantomeno all’altezza del Balzac di Rodin. Fu così che con i ricordi del vigore non più giovane, ma robusto e invecchiato di Gurdjieff, udii con incredulità, nella tarda estate del 1949, della sua forza in diminuzione e del deter...

Gurdjieff: "Ogni persona che incontri, compreso te stesso, è una merda".

La notizia dell’arrivo del Signor Gurdjieff a Chicago, nell’inverno del 1932, mi mise in apprensione. A tutt’oggi, a distanza di quasi trent’anni e con il senno del poi, ancora non riesco a capire perché non lo volessi vedere. Sicuramente, i miei sentimenti nascevano in parte dal fatto che mi ero convinto che forse avevo sbagliato a lasciare il Prieuré nel 1929. A causa della mia dipartita, sentivo di non essere un seguace leale o fedele. Inoltre, se da una parte i suoi scritti mi interessavano veramente e provavo un sincero affetto per Gurdjieff come uomo, dall’altra il mio rapporto con il gruppo di Chicago mi aveva portato a mettere in discussione la validità del suo lavoro sotto ogni aspetto. Ero ancora alla ricerca di prove – qualche qualità nel comportamento dei suoi seguaci – che mi convincessero che egli fosse qualcosa di più di un potente essere umano in grado di ipnotizzare a suo piacere folte schiere di individui. In quel periodo, il mio interesse per i suoi scritti non andav...