Nel caffè dove Gurdjieff era solito “tenere la corte”, molte persone cominciarono ad andare da lui. Si sedevano al suo tavolo o a quello vicino per fargli delle domande o per ascoltare le domande degli altri. Del considerevole numero di persone che entrarono in fila come dietro un tornello, oltre a Ouspensky e a me, altre quattro persone si stabilirono per diventare clienti abituali. Questa situazione durò per diversi mesi, con incontri quotidiani tra Gurdjieff e i suoi “Sei”. Una sera eravamo da Phillipoff, occupando come sempre i nostri due soliti tavoli. Eravamo nel bel mezzo di una discussione che riguardava la questione di quando ci si trovava in una conversazione con qualcuno e bisogna sforzarsi di non perdere la propria individualità nell’ascoltare l’altra persona – ciò che Gurdjieff chiamava “annegarti” in lui – e mantenere limpida la propria facoltà critica, in modo da poter sempre giudicare ciò che l’altra persona stesse dicendo. Improvvisamente, nel bel mezzo della nostra conversazione, un giovane entrò nel caffè in modo molto chiassoso. Si diresse subito ai nostri tavoli dove, però, non c’era posto libero. Non sapendo chi potesse essere, nessuno di noi si mosse per fargli spazio, e così dopo un momento si sedette al tavolo vuoto vicino, che era separato dal tavolo di Gurdjieff da quello dove sedeva la maggior parte di noi alunni. Per niente imbarazzato dalla nostra accoglienza, ora, ugualmente chiassoso, irruppe nella nostra conversazione:
“Vorrei che mi deste qualche esposizione dell’argomento per il quale vi incontrate qui a discutere, l’essenza della vostra teoria e pratica! Il vostro scopo lo conosco già”.
Ci fu un silenzio. Gurdjieff non guardò nemmeno il giovane, come se non lo avesse notato; ma il lieve movimento degli angoli della sua bocca ci mostrava molto bene ciò che pensava del nuovo venuto, che ora ripeteva la sua domanda, sebbene con un po’ meno di sicurezza. Mi chiese, con una sfumatura di ansia nella voce, se potevamo dirgli qui e ora cosa stavamo facendo per raggiungere lo scopo che “qualcuno, da qualche parte, ogni tanto” gli aveva detto che stavamo perseguendo. Ma, in effetti, avrebbe mai potuto venirne a conoscenza adesso e subito? Gurdjieff, ancora senza guardarlo, disse con una voce pigra (mi aspettavo una voce arrabbiata):
“Giovanotto, anche se questo è un caffè aperto a tutti, questi due sono i nostri tavoli privati. Quindi tutto ciò che ti dirò è che tutte queste sei persone che vedi qui hanno trascorso il loro tempo con me da mezzogiorno fino a mezzanotte, o anche più tardi, ogni giorno da mesi. Vengono qui cercando proprio quella cosa di cui “qualcuno, da qualche parte, ogni tanto” ti ha parlato. Se pensi che ti sarà utile, ti dirò solo che so che queste sei persone comprendono abbastanza da sapere almeno di essere sulla via che vogliono percorrere. Ma per comprenderlo, devono aver già percorso parte della strada. Conoscono lo scopo, conoscono la strada… sono soddisfatti di questo e non chiedono: “Quando sarà raggiunta la fine della strada?” – Sono soddisfatti solo di essere sulla strada, e sebbene porti difficoltà, porta anche esperienze che la vita ordinaria non può dare loro.
“Ho ragione?”, si voltò verso di noi. Tutti e sei come un sol uomo gridammo con fervore:
“Sì! Sì!”.
“Vedi, giovanotto?… E queste sono persone altamente istruite: persone del mondo. Un noto medico, un famoso scrittore, due importanti ingegneri, un membro del Senato e questa giovane donna, una splendida musicista che si prepara alla carriera di concertista. Sono tutti colti, hanno viaggiato, hanno studiato diverse scuole di pensiero esoterico, hanno frequentato università, infatti sono persone straordinariamente dotate. Ma in tutto questo tempo non mi hanno mai chiesto quello che hai chiesto tu ora… Ed eccoti qui, a volere una risposta quando sei qui da appena dieci minuti! Ad ogni modo, anche se ti aprissi quella porta e ti dessi un assaggio di un nuovo mondo, non comprenderesti neanche la millesima parte di ciò di cui discutiamo qui, e di ciò che stiamo cercando di ottenere… Bene!… Fai qualche domanda a qualcuno di loro e avrai una risposta”.
Il giovane brillante aveva ormai perso gran parte della sicurezza di sé, e ci fu un altro silenzio, non solo da parte nostra, ma anche da parte sua. Alla fine, evidentemente, pensando che potessi essere la preda più facile, e la più stupida delle sei, si rivolse a me:
– “Potresti spiegarmi qual è il tuo lavoro?”
– “Ma se sei abbastanza interessato da venire qui”, risposi, piena di nobile indignazione e catturando un po' dell’umorismo di Gurdjieff, “allora dovresti già saperlo!”.
Parlai con lui in termini tecnici del modo in cui la teoria e la conoscenza sono state acquisite, traendo paralleli dalla musica. Il giovane sedeva lì con aria smarrita e potevo vedere che non capiva nulla.
''Vedi'', dissi, ''quello che ti ho appena detto è un modo normale di spiegare le cose, un modo tridimensionale. Ma qui siamo dopo il mondo della quarta dimensione, e questo sarebbe molto al di là della tua comprensione, credo, anche sotto forma di domanda. Rinunciamo a molto del nostro tempo e facciamo altri sacrifici per venire qui ed essere in viaggio, forse per non avere mai una risposta. Siamo soddisfatti solo di sapere che siamo sulla strada che porta a ciò che desideriamo raggiungere. E tu sei appena entrato! Dalla strada! Da nessuna parte!… Credevi di riuscire a fare in modo che tutto fosse pronto su un vassoio d’oro?''.
Il giovane sedeva lì, sempre con un’espressione di sconcerto totale. Neppure a quel punto si allontanò subito… rimase come pietrificato.