Le conversazioni nel gruppo continuarono come al solito. Una volta G. disse che voleva realizzare un esperimento sulla separazione della personalità dall'essenza. Eravamo tutti molto interessati perché da tempo aveva promesso "esperimenti", ma fino ad allora non avevamo visto nulla. Non descriverò i suoi metodi, mi limiterò a descrivere le persone che quella prima sera scelse per l'esperimento. Il primo non era tanto giovane, era un uomo che occupava una posizione abbastanza prominente nella società. Nei nostri incontri parlava molto spesso di sé, della sua famiglia, del cristianesimo, degli avvenimenti del momento legati alla guerra e ad ogni possibile sorta di "scandalo" che lo aveva molto disgustato. L'altro era più giovane. Molti di noi non lo consideravano una persona seria. Molto spesso faceva il 'pazzo', oppure cominciava infinite discussioni formali su alcuni o altri dettagli del sistema senza alcuna relazione con l'insieme. Era molto difficile capirlo. Parlava in modo confuso e intricato anche delle cose più semplici, mescolando in modo impossibile punti di vista diversi e parole appartenenti a categorie e livelli diversi. Tralascio l'inizio dell'esperimento. Eravamo seduti nel grande salotto. La conversazione continuò come al solito.
«Ora osservate», ci sussurrò G.
Il più anziano dei due, che parlava animatamente di qualcosa, all'improvviso, nel bel mezzo di una frase, tacque e sembrò sprofondare nella sedia con lo sguardo fisso davanti a sé. A un cenno di G. continuammo a parlare senza guardarlo. Il più giovane cominciò ad ascoltare il discorso e poi cominciò a parlare. Tutti noi ci guardammo a vicenda. La sua voce era diventata diversa. Ci raccontò in modo chiaro, semplice e comprensibile di alcune osservazioni su se stesso, senza parole superflue, senza stravaganze e senza buffonerie. Poi tacque; fumava una sigaretta ed evidentemente stava pensando a qualcosa. Il primo restava immobile, come raggomitolato in se stesso.
"Chiedetegli a cosa sta pensando" – disse G.
"Io?" – alzò la testa come se si fosse appena svegliato.
"A nulla" – sorrise debolmente, come per scusarsi o come se fosse sorpreso che qualcuno gli chiedesse a cosa stesse pensando.
"Ebbene, poco fa parlavi della guerra" – disse uno di noi – "di cosa accadrebbe se facessimo la pace con i tedeschi; la pensi ancora così?"
"Non lo so" – disse con voce incerta – "Ho detto questo?"
"Sì, certo, avevi appena detto che tutti hanno il dovere di pensarci, che nessuno ha il diritto di non pensarci e che nessuno ha il diritto di dimenticare la guerra; tutti dovrebbero avere un'opinione precisa; sì o no, a favore o contro la guerra."
Ascoltò, ma senza capire alcunché.
"Sì?" – rispose. "Che strano. Non ricordo nulla."
"Ma non t'interessa?"
"No, non m'interessa affatto."
"Non stai pensando alle conseguenze di tutto ciò che sta accadendo, ai risultati per la Russia, per l'intera civiltà?"
Scosse la testa come se fosse dispiaciuto.
"Non capisco di cosa stai parlando" – disse – "non m'interessa affatto e non ne so nulla".
"Ebbene, prima hai parlato della tua famiglia. Non sarebbe molto più facile per te se s'interessassero alle nostre idee e si unissero al lavoro?"
"Sì, forse" – ancora con voce incerta – "Ma perché dovrei pensarci?"
"Hai detto di aver paura dell'abisso – secondo come ti sei espresso – che si stava espandendo tra te e loro."
Nessuna risposta.
"Ma cosa ne pensi adesso?"
"Non ci penso affatto."
"Se ti chiedessero cosa vorresti, cosa diresti?"
Di nuovo uno sguardo interrogativo: "Non voglio niente".
"Pensaci, cosa vorresti?"
Sul tavolino accanto a lui c'era un bicchiere di tè non finito. Lo guardò a lungo, come se riflettesse su qualcosa. Si guardò attorno due volte, poi guardò di nuovo il bicchiere e disse con una voce e un'intonazione così seria che tutti ci guardammo l'un l'altro:
"Credo che mi piacerebbe un po' di marmellata di lamponi."
"Perché lo stai interrogando?" – disse una voce dall'angolo che difficilmente riconoscemmo.
Questo fu il secondo 'esperimento'.
"Non vedi che dorme?"
"E tu invece?" – chiese uno di noi.
"Io, al contrario, mi sono svegliato."
"Perché lui si è addormentato mentre tu ti sei svegliato?"
"Non lo so."
Dopo di ciò, l'esperimento si concluse.
Il giorno seguente nessuno dei due ricordava più nulla.
G. ci spiegò che con il primo uomo, tutto ciò che costituiva l'oggetto della sua conversazione ordinaria, le sue preoccupazioni, la sua agitazione, era nella personalità.
Una volta addormentata la sua personalità, non era rimasto praticamente nulla. Anche nella personalità dell'altro c'era molta loquacità indebita, ma dietro la personalità c'era un'essenza che sapeva tanto quanto la personalità e lo comprendeva meglio, e quando la personalità si addormentava, l'essenza prendeva il suo posto ed egli aveva con quest'ultima una relazione diretta molto più grande.
"Notate che contrariamente al suo solito parlava pochissimo" – disse G. – "ma osservava tutti voi e tutto quello che accadeva, e non gli sfuggiva nulla."
"Ma a che serve se anche lui non ricorda?" – disse uno di noi.
"L'essenza ricorda" – disse G. – "la personalità ha dimenticato. E questo era necessario, perché altrimenti la personalità avrebbe distorto tutto e avrebbe attribuito tutto a sé".
"Ma questa è una specie di magia nera" – disse uno di noi.
"Peggio" – disse G. – "Aspettate e vedrete di peggio".
