Le origini del “Lavoro”, il sistema insegnato dal maestro spirituale esoterico greco-armeno, George Ivanovich Gurdjieff (c. 1866-1949), rimangono oscure e le sue fonti sono state ricercate in una serie di tradizioni religiose, più comunemente nel Buddismo, Cristianesimo e Sufismo.[1] Questo capitolo s’interroga sull’affermazione che l’insegnamento di Gurdjieff sia ampiamente derivato da fonti islamiche, in particolare dal Sufismo dell’Asia centrale. Gurdjieff parlò del suo sistema come di “Cristianesimo Esoterico”, e la sua cosmologia ha un debito con il neoplatonismo, in particolare con le opere di Giamblico, (Azize, 2010). Tuttavia, il suo allievo John Godolphin Bennett (1897-1974) credette che il Sufismo fosse la fonte ultima dell’insegnamento di Gurdjieff. Nel seguente capitolo, quest’influenza viene identificata in quattro aree del Lavoro. In primo luogo, i viaggi di Gurdjieff alla ricerca della saggezza, raccontati in forma romanzata in “Incontri con uomini straordinari” (1963), lo portarono apparentemente nei monasteri Sufi dell’Asia centrale, dove apprese le tecniche meditative del “Ricordo di sé” e dei “Movimenti”. L’opera magnum di Gurdjieff, “I racconti di Belzebù a suo nipote” (1950), presenta anche dei personaggi e alcune storie d’insegnamento Sufi. In secondo luogo, si presume che le danze, o movimenti sacri, insegnati da Gurdjieff abbiano avuto origine dalle danze dei dervisci (Barber, 1986). In terzo luogo, il suo allievo John Godolphin Bennett (1897-1974) identificò la personalità distintiva e il metodo d’insegnamento di Gurdjieff, che implica insulti e “shock”, come derivanti dalla malamatiyyah o “via del biasimo” dei Sufi (Bennett, 1973). Viene discusso anche il coinvolgimento di Bennett con il maestro Sufi, Idries Shah (1924–1996), e con la nuova religione indonesiana, il “Subud” (fondata da Muhammad Subuh Sumohadiwidjojo, 1901-1987), anch’essa influenzata dal Sufismo (giavanese) (Geels, 1997), così come il lignaggio dei legami di Bennett con il Sufismo contemporaneo. Quarto e ultimo, parleremo della famosa “figura a nove lati” di Gurdjieff, l’Enneagramma, che è stata associata in modo controverso al Sufismo e utilizzata dai post-gurdjieffiani e dai neo-sufi, tra cui lo psicologo e maestro spirituale, A. Hameed Ali (1944), meglio conosciuto come A. H. Almaas (Almaas, 1998) e Oscar Ichazo (Lilly e Hart, 1975). Si conclude che è valido identificare le influenze Sufi all’interno del “Lavoro” di Gurdjieff, con vari gradi d’importanza a seconda del lignaggio dell’insegnamento. Tuttavia, è inesatto affermare che Gurdjieff fosse un insegnante Sufi, o affermare che il “Lavoro” sia una forma occidentale moderna di Sufismo (e quindi un nuovo movimento religioso “islamico”). Nel XXI secolo, la Quarta Via e il Sufismo sono stati associati attraverso processi di eclettismo spirituale e bricolage, Internet e media culturali popolari.
2. Il Sufismo nella Vita e negli Scritti di Gurdjieff
George Ivanovich Gurdjieff è nato nel 1866 circa, ad Alexandropol [ora “Gyumri”, in Armenia], sul lato russo della frontiera russo-turca. Suo padre era un falegname greco della Cappadocia e un poeta bardico (ashokh), e sua madre un’armena analfabeta (Moore, 1994). Quando Gurdjieff era bambino, la sua famiglia si trasferì a Kars, dove divenne corista presso la scuola della cattedrale militare di Kars. Emerse come insegnante spirituale nel 1912 a Mosca, sposò Julia Ostrowska a San Pietroburgo nello stesso anno, e iniziò ad attirare allievi, il più importante dei quali fu il matematico ed esoterista Pyotr Demianovich Ouspensky (1878-1947). Nel 1917, Gurdjieff e i suoi allievi, lasciarono la Russia, per fuggire dalla Rivoluzione. Dal 1917 al 1922, ebbero sedi – cronologicamente – a Essentuki, Tblisi, Costantinopoli, Berlino e, infine, Parigi, dove Gurdjieff fondò per la seconda volta l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo al “Prieuré des Basses Loges” a Fontainebleau-Avon (Rawlinson, 1997). Nel 1924 ebbe un incidente automobilistico quasi fatale, chiuse l’Istituto, e si trasferì in un appartamento nel centro di Parigi. A questo punto, Gurdjieff si concentrò sulla scrittura delle sue tre opere principali, assistito dalla sua segretaria Olga de Hartmann e dal traduttore Alfred R. Orage. Dal 1922 fino alla sua morte nel 1949, a parte alcuni viaggi, Gurdjieff rimase in Francia (Rawlinson; 1997). Fu solo quando P. D. Ouspensky incontrò Gurdjieff e iniziò a documentare i suoi insegnamenti, che apparvero le prime testimonianze esterne sulla vita di Gurdjieff. Ouspensky si separò da Gurdjieff nel 1924, quando già ormai si era stabilita la cronaca giornalistica della vita di Gurdjieff. Ouspensky insegnò il sistema di Gurdjieff fino alla sua morte nel 1947, e pubblicò la prima e più sistematica versione dell’insegnamento, “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” (1949). Mark Sedgwick ha sostenuto che Ouspensky diede al Lavoro un contributo molto più grande di quanto generalmente riconosciuto, e che “molto di ciò che è conosciuto come l’insegnamento di Gurdjieff è, in realtà, l’insegnamento di Ouspensky” (Sedgwick, 2019). Gli scritti di Gurdjieff, I racconti di Belzebù a suo nipote (1950), Incontri con uomini straordinari (1963) e “La vita è reale solo quando “Io sono” (1974), furono pubblicati postumi (Moore, 1991). Il libro di Gurdjieff, “Incontri” – quasi autobiografico – lo presenta come un ricercatore di saggezza, desideroso di unire la conoscenza religiosa, esoterica e scientifica. In “Incontri” si registra la ricerca di Gurdjieff e dei suoi amici, un gruppo che si fa chiamare “Cercatori di Verità”. Tra questi: Abram Yelov, un cristiano assiro; un tirocinante sacerdote ortodosso diventato poi l’ingegnere Sarkis Pogossian; il figlio del pascià Ekim Bey; l’archeologo professor Skridlov; una ‘donna notevole’ di nome Vitvitskaia; e il principe Yuri Lubovedsky, la principale guida spirituale nel libro di Gurdjieff. I “Cercatori di Verità” avrebbero viaggiato alla ricerca dell’antica saggezza dal 1880 al 1890. Partirono per una spedizione nel deserto del Gobi, visitarono l’Egitto (che Gurdjieff collegò ad Atlantide), sperimentarono la musica e le vibrazioni, incontrarono santi erranti nell’Asia centrale, e lo stesso Gurdjieff trovò finalmente il monastero della leggendaria Confraternita Sarmoung, dove si riunì con il principe Lubovedsky e imparò le danze sacre, o Movimenti (Moore, 1991). Ci sono state molte speculazioni sulle fonti degli insegnamenti di Gurdjieff e su quanto sia affidabile il resoconto dei suoi primi anni dato in “Incontri”. La Quarta Via, o “Lavoro” – come viene chiamato l’insegnamento di Gurdjieff – è stata descritta come un’amalgama di cristianesimo esoterico, sufismo, buddismo tibetano, tradizioni occulte occidentali e idee indù. Lo stesso Gurdjieff non riconobbe mai alcun maestro. Alcuni allievi di Gurdjieff, come J. G. Bennett, pensavano che i viaggi di Gurdjieff fossero basati sulla realtà. Egli credeva che Gurdjieff avesse vissuto con gli Esseni, nel monastero cristiano del Monte Athos, e avesse visitato l’Etiopia dove aveva acquisito la conoscenza del cristianesimo copto. Bennett accettava anche l’idea che Gurdjieff avesse trascorso del tempo in Egitto, Babilonia, Afghanistan e Tibet, e che fu iniziato a un ordine Sufi in Asia centrale. Dai primi anni ’50 viaggiò molto nel mondo islamico e “cercò chiaramente le fonti degli insegnamenti di Gurdjieff dai musulmani che incontrava” (Pittman, 2012). Tuttavia, durante la vita di Gurdjieff, l’orientamento al Sufismo non apparve così evidente a molti dei suoi allievi principali, il più importante dei quali era Jeanne de Salzmann (1889-1990), il suo successore designato. La signora de Salzmann istituì la “Fondazione Gurdjieff” (con filiali a Londra, New York, Parigi e Caracas), l’insegnamento ufficiale e il lignaggio istituzionale del Lavoro. I cambiamenti che de Salzmann apportò più tardi nella sua vita furono criticati aspramente da James Moore, che la ha accusò di aver introdotto la meditazione in stile indù volta a risvegliare Kundalini, quando Gurdjieff liquidava “la religiosità indiana in generale (“un bordello per la verità”) e la Kundalini in particolare” (Moore, 1994). Il primo resoconto sull’insegnamento di Gurdjieff fu “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Ouspensky, e quando i due s’incontrarono nel 1915, Ouspensky era conosciuto come l’autore di “Tertium Organum” (1912), in cui parlava del Sufismo come di “una scuola filosofica di altissimo carattere idealistico che lottava contro il materialismo e contro il ristretto fanatismo e la comprensione letterale del Corano” (Ouspensky 1981 [1912]: 250). In “Frammenti”, Ouspensky scrisse dei suoi anni come allievo di Gurdjieff (lasciò Gurdjieff nel 1924, sebbene continuò a insegnare le sue idee ai suoi studenti). Notò la vaghezza di Gurdjieff riguardo alle fonti dei suoi insegnamenti: “Delle scuole e di dove aveva trovato le conoscenze che indubbiamente possedeva parlava pochissimo e sempre superficialmente. Menzionò i monasteri tibetani, il Chitral, il Monte Athos, le scuole sufi in Persia, a Bokhara e nel Turkestan orientale; menzionò dervisci di vari ordini, ma tutti in modo molto indefinito. [Ouspensky, 2001 (1949): 36]. A Istanbul, in viaggio verso l’Europa, Ouspensky, Bennett e altri, visitarono la tekke Mevlevi assieme a Gurdjieff, e tracciarono alcuni paralleli tra gli esercizi Sufi e ciò che aveva insegnato loro. Ouspensky ricordò che Gurdjieff disse che “il vortice dei dervisci Mevlevi era un esercizio per la mente basato sul conteggio, come gli esercizi che ci aveva mostrato a Essentuki” (Ouspensky, 2001: 383). Bennett era convinto che la pratica Sufi dello zikr, o dhikr, “il ricordo dei nomi di Dio” (Allāh), coincidesse con la pratica del “ricordo di sé” di Gurdjieff, nonostante l’ovvia distinzione tra una pratica focalizzata su Dio e l’altra invece sul sé (Brenner, 1972: 646). Bennett sosteneva anche che la distinzione tra (falsa) personalità e (vera) essenza fosse di origine Sufi, e la “Study House” al Prieuré gli ricordava “il Sema Hanes delle comunità dervisci fuori le mura di Costantinopoli” (Bennett, 1973: 152). È certamente vero che Gurdjieff creò un’atmosfera “orientale”; la Study House (un hangar per aerei che venne utilizzato per i movimenti) era tappezzata di tappeti persiani, e anche il bagno turco, in cui Gurdjieff scherzava con gli uomini del Prieuré, era esotico nella Parigi degli anni ’20. Bennett considerava anche l’”esercizio di arresto” (esercizio dello Stop), in cui gli alunni al comando di Gurdjieff smettevano di muoversi e si bloccavano, come una pratica Sufi (Bennett, 1973: 227). La sua convinzione che Gurdjieff avesse studiato a Bukhara con l’ordine Sufi dei Naqshbandī era supportata dal fatto che i personaggi Sufi in “Incontri” (Bogga Eddin) e nei “Racconti di Belzebù” (Hadji-Asvatz-Troov), erano entrambi associati a Bukhara. Bennett descrisse Gurdjieff in questo modo:
“Indossava una maschera che tendeva a scoraggiare le persone, piuttosto che attirarle verso di sé. Ora, questo metodo… la Via di Malamat, o via del biasimo, era molto apprezzata nei tempi antichi tra i Sufi, i quali consideravano gli sceicchi che seguivano questa via, come particolarmente eminenti nella spiritualità”.
Altre prove dell’identificazione di Gurdjieff con il Sufismo si trovano nelle “danze sacre”, o Movimenti, e nella musica che compose con Thomas de Hartmann, sia quella per accompagnare i Movimenti, sia nella musica per pianoforte che è di tre tipi: 1) “Musica Popolare Asiatica e Orientale”; 2) “Musica dei Sayyid e Dervisci”; 3) “Inni” (Petsche, 2015: 112). È a questi due strumenti didattici, danza e musica, che ora ci rivolgiamo.
3. I Movimenti e la Musica per Pianoforte
I Movimenti furono inaugurati da Gurdjieff nel 1919 a Tiflis (Tblisi), luogo della prima fondazione dell’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo, e della prima manifestazione pubblica dei Movimenti. Eppure, le danze sacre furono un metodo di insegnamento fin dall’inizio. In “Bagliori di Verità” (1914), un testo che era probabilmente progettato per attirare studenti, un cercatore chiese a Gurdjieff su “La Lotta dei Maghi”, un balletto che aveva pubblicizzato nel 1914. Egli rispose:
"Nel ritmo di certe danze, nei precisi movimenti e nelle combinazioni dei danzatori, certe leggi sono richiamate vividamente. Tali danze sono chiamate sacre. Durante i miei viaggi in Oriente, vidi spesso danze di questo tipo durante l’esecuzione di funzioni sacre in alcuni antichi templi. Queste cerimonie sono inaccessibili e sconosciute agli europei. Alcune di queste danze sono riprodotte ne La lotta dei maghi". [Gurdjieff, 1984 (1973): 31].
Il balletto non fu mai eseguito, ma è la prova dell’utilizzo della danza da parte di Gurdjieff fin dal principio come metodo d’insegnamento. Ouspensky annotò degli esercizi che erano stati fatti su un grande disegno dell’Enneagramma sul pavimento, con gli studenti sui numeri da 1 a 9 che si muovevano “in direzione dei numeri del periodo in un movimento molto interessante, girando intorno l’un l’altro nei punti di incontro” (Ouspensky 2001: 294-295). Ouspensky non associò mai il simbolo al Sufismo come fecero i commentatori successivi, ma lo considerò peculiare di Gurdjieff. Si è ipotizzato che l’origine dei Movimenti sia il monastero dell’oscura “Fratellanza Sarmoung”, sebbene, come ha notato Sedgwick, non ci siano prove che la Fratellanza Sarmoung sia esistita, e nella tradizione del Lavoro essa funziona come fonte di autorità, come “i mitici Mahatma di Blavatsky” (Sedgwick, 2010: 176). Più probabilmente, i Movimenti riflettono una miscela di forme di danza orientali e occidentali, comprese le danze dervisci Sufi, l’Euritmia Antroposofica e l’Euritmia Dalcroze (Wellbeloved; 2005 [1003]: 45). Dalla classe Dalcroze di Jeanne de Salzmann si formarono i primi studenti dei Movimenti, ed è probabilmente significativo che Gurdjieff non insegnò i Movimenti se non dopo che Jeanne e suo marito, Alexandre, erano diventati suoi allievi. Eppure, insegnò i Movimenti da esperto, piuttosto che in modo amatoriale o spontaneo, il che suggerisce che le discipline basate sul corpo fossero un interesse di vecchia data per lui (Cusack, 2017). Fu al monastero Sarmoung che Gurdjieff avrebbe visto la macchina costituita “da una colonna verticale munita di sette bracci mobili, ciascuno attaccato da sette giunti universali. Come un alfabeto scritto, la macchina era in grado di trasmettere un numero infinito di combinazioni di segni” (Gordon, 1978: 38). Questa macchina avrebbe mostrato le particolari posture dei Movimenti che spesso comportano azioni complicate e controintuitive di diverse parti del corpo, come la testa, le braccia e le gambe. Questa fonte esotica non è mai stata dimostrata, e sembra più probabile che, come riferì Gurdjieff stesso, quando era giovane avesse “praticato principalmente Yoga e la ginnastica dello Svedese Mueller” (van Dullemen, 2014: 215). Gurdjieff insegnò che gli umani sono “esseri a tre cervelli”, che devono allineare i loro sé intellettuali, emotivi e sensoriali in un unico “io”, attraverso lo sviluppo di un corpo più sottile (o kesdjan). I suoi insegnamenti sono chiamati la “Quarta Via”, a causa delle tre vie che connette ai tre centri dell’essere. La via del faḳīr, fachiro, (asceta sufi) secondo Gurdjieff si connette al corpo e al centro sensoriale; la via del monaco (asceta cristiano) si collega al centro emozionale; e la via dello yogi (asceta indù) si allinea con il centro intellettuale (Cusack, 2017: 104). Tutti questi percorsi sono frammentari, in quanto “sono tutti squilibrati, perché ogni centro è consapevole solo di una parte di ciò che siamo”. Quindi, in effetti, ci sono due tipi di squilibrio: la “nevrosi individuale” (derivata dal fatto che i centri cercano di fare il lavoro che è proprio di uno degli altri centri) e “asimmetria spirituale” (derivata dal fatto che nessun centro può rivelare l’intera natura dell’uomo). (Rawlinson, 1997: 288). Per Gurdjieff, lo scopo della vita è lo sviluppo di un corpo kesdjan attraverso il “lavoro cosciente” e la “sofferenza volontaria”. Gli umani, per Gurdjieff, sono essenzialmente macchine che attraversano la vita addormentati. Ci sono quattro stati di coscienza; sonno, coscienza di veglia (quasi la stessa del sonno), ricordo di sé, e coscienza oggettiva, il cui raggiungimento è legato allo sviluppo del corpo kesdjan (essere astrale o superiore). Questo è un tipo di anima, o elemento immortale, che sopravvive alla morte fisica; quelli senz’anima diventano cibo per la Luna quando muoiono. I Movimenti sono l’attività corporea più importante intrapresa nel Lavoro, e coltivano il centro fisico, mentre la musica per pianoforte coltiva il centro emozionale, e I Racconti di Belzebù coltiva il centro intellettuale (Petsche, 2015: 182). La natura trasformativa dei Movimenti è riconosciuta da Joseph Azize, che osserva “ci sono atteggiamenti interiori, che a un certo punto diventano ancora più cruciali della dimensione corporea” (Azize, 2012: 297). Il copione de La Lotta dei Maghi racconta di danze insegnate dal Mago Bianco ai suoi allievi, tra cui l’eroina, la bella e modesta Zeinab. La descrizione è chiaramente di una classe di Movimenti:
“Immediatamente gli alunni lasciano il loro lavoro e si dispongono in file, e ad un cenno del Mago compiono vari movimenti simili a danze. L’assistente del Mago si muove su e giù e corregge le loro posizioni e i loro movimenti. Queste “danze sacre” sono considerate una delle principali materie di studio in tutte le scuole esoteriche d’Oriente, sia nell’antichità che ai giorni nostri. I movimenti che consistono queste danze hanno un duplice scopo; esprimono e contengono una certa conoscenza, e, allo stesso tempo, servono come metodo per raggiungere uno stato armonioso dell’essere”. (Gurdjieff: 19).
La Lotta dei Maghi rafforza questa sensazione che la fonte dell’insegnamento sia “islamica”; l’eroina Zeinab, descritta come “di tipo indo-persiano”, è figlia di un ricco khan e diventa cruciale per una lotta tra il Mago Bianco e il Mago Nero; alla conclusione del balletto, il Mago Bianco è vittorioso, e Zeinab e il suo corteggiatore Gafar sono uniti (Gurdjieff, 8-9). I disegni dei costumi e della scenografia hanno una forte estetica da “Mille e una Notte”, aggiungendo l’impressione di un’origine islamica, o più propriamente Sufi, agli insegnamenti di Gurdjieff. Eppure, è sorprendentemente difficile collegare la musica che Gurdjieff ha composto, o i Movimenti che ha coreografato, con particolari gruppi etnici o religiosi; Gert-Jan Blom afferma di aver identificato la fonte di una melodia, “Kurd Melody for Two Flutes” (Petsche, 2015: 120). Allo stesso modo, c’è un Movimento in cui si recitano le parole “Sharsche Varsche”. Wim van Dullemen ha identificato la fonte in una “processione rituale per onorare il Santo Hussein, caduto nella battaglia di Kerbala, uno dei dodici imam” che fa riferimento alla morte di Husayn, nipote del profeta Muhammad (van Dullemen 2014: 184). [2] Nei “Racconti di Belzebù, Gurdjieff definisce ‘San Maometto’: “un autentico messaggero di nostra Infinità [Dio]” (Gurdjieff, 1999 [1950]: 1091); I libri di Gurdjieff abbondano di racconti comici del mullah Sufi Nassr Eddin. Alcuni movimenti includono il vortice, ma ci sono prove che Gurdjieff lo abbia introdotto solo dopo aver vissuto a Istanbul nel 1920.
4. John G. Bennett, Subud e Idries Shah
Bennett incontrò Gurdjieff e Ouspensky a Istanbul, durante il suo impiego con l’intelligence militare britannica nel 1920-1921, e trascorse del tempo al Prieuré nel 1923. Per molti anni fu allievo di Ouspensky e di sua moglie, Sophia Grigorievna. Nel 1946, Bennett fondò a Coombe Springs l’Institute for the Comparative Study of History, Philosophy and the Sciences (Coates, 2013: 182). Nel 1948, Bennett tornò a Parigi da Gurdjieff, ed era con Gurdjieff quando morì nel 1949. Seduto accanto al corpo di Gurdjieff, prima del funerale, Bennett sentiva che “il potere di Gurdjieff era rimasto e… il suo lavoro sarebbe continuato” (Bennett, 1973: 272). Bennett è unico tra i primi allievi in quanto era interessato sia a localizzare le fonti dell’insegnamento di Gurdjieff, e sia le possibilità offerte da altre religioni e forme di spiritualità. Nel 1957, fu affascinato dal Subud, un gruppo spirituale indonesiano guidato da Muhammad Subuh Sumohadiwidjojo (noto come Bapak — “anziano o padre” — o Pak Subuh), che insegnava un esercizio, il latihan kejiwaan (addestramento dell’anima), che Bennett presentò agli studenti del Lavoro a Coombe Springs (Rawlinson, 1997: 185). Il coinvolgimento di Bennett con il Subud ha costituito anche la prima trasmissione delle idee di Pak Subuh in Europa. Il nome “Subud” è formato da tre parole indonesiane derivate dal sanscrito; Susila (buon carattere), Budhi (illuminazione) e Dharma (legge). Stephen Urlich descrive il latihan – durante il quale uomini e donne sono segregati – come “un’espressione emotiva disinibita e sfrenata, in cui si stabilisce il ‘contatto’ con la divinità del Subud” (Urlich, 2005: 163). Dato che l’Indonesia è un paese principalmente islamico, non sorprende che Pak Subuh abbia negato che il Subud fosse una nuova religione:
“È anche necessario spiegare che Subud non è né un tipo di religione né un insegnamento, ma è un’esperienza spirituale risvegliata dal Potere di Dio che conduce alla realtà spirituale libera dall’influenza delle passioni, dei desideri e del pensiero. Ecco perché nell’addestramento spirituale del Subud si sente veramente che il proprio sé interiore non è più influenzato dalle passioni, dal cuore e dalla mente, il che significa che nel latihan kejiwaan del Subud il sentimento interiore è stato veramente separato dalla loro influenza” (Sumohadiwidjojo). Successivamente, Bennett si convertì al cattolicesimo nel 1961, anno in cui andò in India per consultare “un saggio indiano, Shivapuri Baba” (Rawlinson 1997:185). Nel 1961 seguì la rottura con Pak Subuh. Quindi, Bennett era un ricercatore per eccellenza, e in varie occasioni era stato allievo di Ouspensky, Gurdjieff, Jeanne de Salzmann, Henriette Lannes, tutti nella tradizione del Lavoro, e Pak Subuh, Abdullah Daghestani, Emin Chikou, il Maharishi Mahesh Yogi e Shivapuri Baba, al di fuori del Lavoro. A Coombe Springs, Bennett e i suoi allievi costruirono il Djameechoonatra, una struttura basata sull’Enneagramma. Il suo scopo era come luogo per le esibizioni dei Movimenti, ed evocava la “Study House” al Prieuré (Coates, 2013: 182). Questo fu completato nel 1965, ma fu distrutto l’anno successivo, dopo che Bennett diede Coombe Springs all’insegnante di sufismo, Idries Shah, il quale lo vendette subito a promotori immobiliari (Pittman, 2012: 107). James Moore è feroce nella sua valutazione della relazione tra Bennett e Shah: su come Bennett si convinse che Shah fosse venuto direttamente dal “Monastero di Sarmoung” di Gurdjieff con una “Dichiarazione del popolo della tradizione”; sul modo in cui Shah spinse Bennett (“La carovana sta per partire”) a dargli Coombe Springs a titolo definitivo; su come Bennett agonizzava, e nel gennaio 1966 obbedì; come Shah ripudiò prontamente Bennett e vendette lo stabilimento per 100.000 sterline inglesi; su come Coombe Springs con il suo sub-Goetheanum Djamicunatra passò sotto i bulldozer; su come Shah con i proventi fondò la “Society for Organizing Unified Research in Cultural Education” (SOURCE) e la “Society for the Understanding of the Foundation of Ideas” (SUFI), e si stabilì a Langton House, Langton Green, vicino a Tunbridge Wells – tutto questo è registrato nell’autobiografia di Bennett, Witness. (Moore, 1986: 4-6). Il coinvolgimento che Bennett ebbe con vari gruppi Sufi, e specialmente con Shah e i suoi allievi, diede origine ad alcuni risultati a lungo termine che si sono rivelati problematici per quanto riguarda lo studio accademico di Gurdjieff e dei suoi insegnamenti. Nel 1966, un ignoto scrittore che usava lo pseudonimo di “Rafael Lefort” pubblicò un breve libro intitolato “The Teachers of Gurdjieff” (I Maestri di Gurdjieff), ma proveniva chiaramente dalla cerchia di Idries Shah e di suo fratello maggiore Omar Ali-Shah, anche lui un popolare leader dei gruppi dei Sufi Naqshbandī in Occidente. Questo libro pretendeva di essere una serie di interviste con “autentici” maestri Sufi in Iran, Iraq, Turchia, Siria, e una serie di altri paesi, presentati come quelli da cui le idee di Gurdjieff erano state derivate, o (meno diplomaticamente) rubate. [3] Lefort affermò che Hakim Abdul Qader, ad Adana, insegnò la tessitura a Jurjizada (Gurdjieff), e lo definì “un allievo attento” (Lefort, 2008 [1966]: 12). In modo controverso, affermò che lo sceicco Daud Yusuf, a Kerbala, (e altri che ipotizzò essere stati maestri di Gurdjieff) respinse fermamente l’insegnamento di Gurdjieff, dicendo: “Gurdjieff è morto… Gurdjieff non ha passato la sua autorità a nessuno. Il suo messaggio è morto con lui”. (Lefort, 2008: 28). [4] Sebbene sia improbabile che tali critiche possano turbare i membri del Lavoro, è evidente che un attacco all’autorità dell’insegnamento di Gurdjieff viene montato sulla base della “tradizione”. Quindi, il tono polemico di Ali-Shah è inconfondibile:
“Gurdjieff… era passato da Maestro a Maestro e aveva sicuramente assimilato varie tecniche, termini di riferimento, musica, movimento e altre cose; ma non era stato incaricato di insegnare, e questo è un fattore molto fondamentale, importante e cruciale. La quantità di… danno che è stato causato, ed è ancora causato da Gurdjieff e dai suoi seguaci, può essere misurato solo in termini di sofferenza e dolore umani. Tanto più riprovevole dal nostro punto di vista è che, dopo la morte di Gurdjieff, sia subentrata la signora de Salzmann, seguita poi da suo figlio e da uno degli altri orsi danzanti, e sapevano che ciò che insegnavano non era reale”. [Ali-Shah, 1994: 223–226]
È interessante che i Sufi del lignaggio di Shah facciano tentativi così concertati per attaccare Gurdjieff, quando il Lavoro stesso (a parte il lignaggio di Bennett) non ha mai rivendicato il Sufismo come radice della sua tradizione, e neanche enfatizzato mai le influenze Sufi. La letteratura accademica su Gurdjieff, che è relativamente limitata, contiene sforzi come “Philosophy and Art” di Anna T. Challenger in “Beelzebub: A Modern Sufi Odyssey”, un libro interessante che, tuttavia, accetta acriticamente l’opinione di Bennett secondo cui “le origini sufi degli insegnamenti erano inconfondibili per chiunque avesse studiato entrambi – di conseguenza possiamo muoverci avanti e indietro con facilità tra Sufismo e Gurdjieff senza bisogno di riorientamento” (Challenger, 2002: 12). Anche l’ammirevole tentativo di Harry T. Hunt – nel tentativo di situare Gurdjieff nel contesto del moderno misticismo secolare, afferma con sicurezza:
“Ciò che è chiaro è che il sistema finale di Gurdjieff contiene un insieme di pratiche in gran parte derivate dal sufismo, con una psicologia più occidentale sulla molteplicità della personalità ordinaria, tutte sintetizzate all’interno di una versione originale dello gnosticismo e di una relativa alchimia altamente tecnica dell’esperienza interiore”.
Sedgwick, negli studi sul Sufismo moderno in Occidente, richiamò l’attenzione sul fatto che negli anni Trenta, oltre a Gurdjieff, vi erano altri maestri di ‘Sufismo’ (variamente definiti) in Occidente, tra cui Hazrat Inayat Khan, Frithjof Schuon, Rudolf von Sebottendorff, Meher Baba e René Guénon (Sedgwick, 2016: 413). Michael Pittman, il cronista più perspicace e scrupoloso del discorso sul Sufismo all’interno e all’esterno della tradizione di Gurdjieff, offre un resoconto più cauto e sfumato della reciproca influenza nell’eredità di Bennett, con la dovuta moderazione sulle relazioni e/o sul debito di Gurdjieff con i Sufi e il Sufismo (Pittman, 2012, 2013).
5. L’Enneagramma e il «Sufismo»
L’Enneagramma, termine che unisce il greco ennea (nove) e grammos (disegno, o scritta), è una figura a nove lati, solitamente mostrata come un triangolo all’interno di un cerchio (che collega i punti 9, 3 e 6), che compare nel sistema esoterico di Gurdjieff, ed è stata descritta per la prima volta da Ouspenky. Gurdjieff affermò che l’Enneagramma era “completamente autosufficiente e indipendente da altre linee, ed era rimasto completamente sconosciuto fino a quel momento presente”. (Ouspensky 2001: 286), nonostante ciò, furono rintracciate molte origini diverse per il simbolo… Cristiana, Sufi e Cabalistica (Webb 1980: 505-519). I numeri intorno al cerchio mostrano la Legge del Sette (questa per Gurdjieff era l’ottava musicale di sette note fondamentali e due intervalli di “semitono”, quindi nove punti). I punti che rappresentano le sette note fondamentali sono quindi etichettati do, re, mi, e così via. La Legge del Sette determina tutti i processi nell’universo, secondo uno schema di sette fasi disuguali. Gurdjieff usava la “scala a sette toni”, composta da due serie di intervalli più grandi: “do, re, mi”, e “fa, sol, la, si” — e due intervalli più piccoli, tra “mi e fa”, e tra il “si” e il “do” dell’ottava successiva (Ouspensky 2001: 124-126; Gurdjieff 1984: 187-189). Gurdjieff insegnò che in tutti i processi s’incontra una resistenza negli intervalli più piccoli, e che è necessario uno ‘shock’ affinché i processi continuino. Le nove cifre dell’Enneagramma non mostrano esattamente la Legge del Sette con sette fasi fondamentali e due semitoni o ‘shock’, poiché la distanza tra i punti è uguale attorno alla circonferenza del cerchio, dove variano gli intervalli tra i toni e i semitoni. [5] L’insolita forma a sei punte all’interno dell’Enneagramma è realizzata unendo per linee rette i sei numeri sul bordo che compongono la sequenza di numeri che si verificano e si ripetono quando 1 è diviso per 7 (0,142857…) Gli altri punti — 9, 3 e 6 — formano un triangolo equilatero che simboleggia la Legge del Tre, e i punti 3 e 6 corrispondono ai due intervalli degli “shock” dell’ottava (Ouspensky 2001: 290–291). Gurdjieff affermò che l’Enneagramma era un simbolo di significato universale e di enorme potere. Questo rende comprensibili le dure critiche che i gruppi “ortodossi” di Gurdjieff fanno alle applicazioni non ortodosse dell’Enneagramma (ma ispirate a Gurdjieff), e quegli utilizzi da parte di maestri non iniziati che non hanno mai fatto parte del Lavoro. Il potere rivendicato da Gurdjieff per l’Enneagramma spiega il perché i seguaci fedeli ritengano che il suo uso improprio sia pericoloso. L’Enneagramma è uno strumento per analizzare la condizione psicologica di un individuo (dal greco psiche, anima) e il suo stato spirituale che ne deriva. Gurdjieff affermò anche che l’Enneagramma incarnava la “conoscenza oggettiva”… un’affermazione molto significativa nel contesto del Lavoro:
"Simboli che venivano usati per trasmettere idee appartenenti alla conoscenza oggettiva includevano diagrammi delle leggi fondamentali dell’universo, e non solo trasmettevano la conoscenza stessa, ma indicavano anche la via per raggiungerla… Le leggi fondamentali delle triadi e delle ottave penetrano ogni cosa e dovrebbero essere studiate simultaneamente sia nel mondo che nell’uomo. Ma in relazione a se stesso, l’uomo è un oggetto di studio più vicino e più accessibile… nel tendere alla conoscenza dell’universo, l’uomo dovrebbe iniziare con lo studio di se stesso, e con la realizzazione delle leggi fondamentali in lui… La trasmissione del significato dei simboli a un uomo che non li abbia compresi in se stesso è impossibile". (Ouspensky, 2001: 280–281)
Quindi l’Enneagramma è un simbolo realmente esoterico; gli esseri umani non iniziati, senza la preparazione necessaria per comprenderne il significato non possono comprenderne il significato. Questa affermazione collega anche l’Enneagramma Diagnostico – che può identificare il livello spirituale di una persona – con l’Enneagramma Evolutivo – che traccia il corso del progresso spirituale che una persona potrebbe intraprendere. Inoltre, l’Enneagramma è anche una mappa della relazione Microcosmo-Macrocosmo tra l’Uomo e l’Universo. James Webb, un non-gurdjieffiano, sostiene che la genealogia dell’Enneagramma risieda nelle Sephiroth cabalistiche, attraverso l’Ars Magna (“La Grande Arte”, 1305-1308 circa) di Raimondo Lullo (1232-1315 circa), e l’Arithmologia (1665) di Athanasius Kircher (1601-1680). [Webb, 1980: 505-519]. Il biografo e membro del Lavoro, James Moore, rifiuta tutto ciò, sostenendo che l’Enneagramma “era intrinseco e peculiare al sistema di Gurdjieff, e mai promulgato prima di lui” (Moore, 2004 [1987]: 2). Sophia Wellbeloved ha osservato che la natura mutevole dei movimenti dell’”Enneagramma” di Gurdjieff, può suggerire per il simbolo delle origini dervisce e Sufi (2003: 66), ma non offre alcuna prova per dimostrare questa possibile affinità. Il boliviano Oscar Ichazo, fondatore della Scuola Arica, ha respinto le presunte origini Sufi dell’Enneagramma: “Conosco ampiamente il Sufismo: ho praticato lo zikr tradizionale, la preghiera, la meditazione, e so cosa hanno realizzato gli sceicchi Sufi. Non fa parte del loro quadro teorico. A loro non potrebbe importare di meno dell’Enneagon [Enneagramma]” (Patterson, 1998: 24). Helen Palmer e Don Richard Riso (1946-2012), tra gli altri divulgatori contemporanei dell’Enneagramma della Personalità, continuano a sbandierare le sue origini “Sufi”. Il neo-sufi A. H. Almaas ha sviluppato un metodo chiamato “Diamond Approach”, in cui “l’antica saggezza” si integra con la psicologia del profondo, e utilizza l’Enneagramma in una versione derivata dal cileno Claudio Naranjo, che era stato allievo di Ichazo (Almaas 1998). Sedgwick ha notato che in ciò che viene definito “Movimento dell’Enneagramma” non riscontra alcuna traccia di Sufismo.
6. Conclusione
Questo capitolo ha dimostrato che, mentre ci sono motivi e idee Sufi che caratterizzano gli insegnamenti di Gurdjieff, è chiaramente vero che Gurdjieff NON era un Sufi e NON insegnava il Sufismo. Il discorso di Gurdjieff e del Sufismo fu in gran parte il risultato della ricerca di John Bennett sulle origini del sistema di Gurdjieff, e fu complicata (e forse compromessa) dalla sua identificazione del “ricordo di sé” di Gurdjieff con lo zikr, il ricordo dei nomi di Allāh (Bennett, 1973: 219). La problematica relazione di Bennett con Muhammad Subuh Sumohadiwidjojo, il Subud e Idries Shah, e la particolare forma occidentale di Sufismo Naqshbandī a cui era associato, aggiungono ulteriori livelli di complessità alla storia. Tuttavia, altri insegnanti della tradizione di Gurdjieff hanno interpretato il suo insegnamento secondo altri modelli (“Cristianesimo” nel caso di Maurice Nicoll, e con sfumature indù, negli ultimi anni, nel caso di Jeanne de Salzmann). Studiosi, tra cui Michael Pittman e Mark Sedgwick, hanno tracciato i legami che il Sufismo aveva con lo stesso Gurdjieff, e che i suoi seguaci, vagamente definiti, hanno sviluppato. Il periodo trascorso a Costantinopoli nel 1920-1921, quando Gurdjieff e Ouspensky insegnavano entrambi e John Bennett fece la loro conoscenza, è di particolare importanza, e i ricordi del suo tempo trascorso nelle tekke a osservare i dervisci rotanti, influenzò la sua presentazione del Lavoro come ispirata dai Sufi (Pittman, 2016: 41). Pittman ha studiato figure tra cui Ahmet Kayhan (1898–1988) e Jelaluddin Loras, che ha fondato il “Mevlevi Order of America” nel 1980, e ha insegnato alla “Claymont Court” dal 1978 (Pittman 2016: 46). Questi legami implicano l’influenza reciproca tra gli Stati Uniti e la Turchia, il Lavoro e il Sufismo, e l’amicizia tra Loras e l’insegnante della Quarta Via, Pierre Elliot, e anche Reshad Feild (Richard Timothy, 1934–2016) (Sorgenfrei, 2013: 114 –117). Sedgwick ha raccontato le interazioni tra il Lavoro e il Sufismo nell’America latina, queste riguardano figure tra cui Rodney Collin (1909-1956), un allievo di Ouspensky che portò la Quarta Via in Messico, Ichazo e Naranjo (discusso sopra), e anche “un gruppo simile nella Repubblica Dominicana, il gruppo domenicano di Gurdjieff diretto da José Reyes (nato nel 1942)… che mantiene un’enfasi occasionale sul Sufismo”. (Sedgwick, 2018: 15). Reyes ed Elliot erano amici; Reyes andò a Claymont ed Elliot nella Repubblica Dominicana, il che spiega le caratteristiche Sufi del gruppo. Quegli elementi dell’insegnamento di Gurdjieff che sono stati rivendicati come Sufi, come ad esempio l’Esercizio dello Stop, i Movimenti e l’Enneagramma, se esaminati attentamente si rivelano assolutamente estranei al Sufismo. [6] Gurdjieff era un insegnante che indossava maschere e recitava ruoli, e queste maschere e ruoli variavano da allievo ad allievo. Eppure, un filo continuo e mai ripudiato nel Lavoro era la sua pretesa di unire la saggezza dell’Oriente e dell’Occidente. Nel 1923, quando si stava stabilendo a Parigi, Gurdjieff parlò con il professor Denis Saurat, direttore dell’Istituto francese a Londra. Egli disse:
“Voglio aggiungere lo spirito mistico dell’Oriente allo spirito scientifico dell’Occidente. Lo spirito orientale ha ragione, ma solo nelle tendenze e nelle idee generali. Lo spirito occidentale ha ragione nei suoi metodi e nelle sue tecniche. I soli metodi occidentali sono efficaci nella storia. Voglio creare un tipo di saggio che unisca lo spirito dell’Oriente con le tecniche occidentali”. [Seymour-Smith, 1998: 451]. Resta da osservare che se il Lavoro non è Cristiano, non è Sufi, non è Buddista, non è Indù, non è Cabalistico, non significa che sia sui generis, o che sia scaturito completamente formato dall’intelletto di Gurdjieff come fece Atena dalla testa di Zeus.
Note
[1] Sono grato ai miei assistenti di ricerca, le dott.ssa Johanna Petsche e Venetia Robertson, e il signor Ray Radford, che hanno lavorato a questo progetto. Ringrazio il professor Mark Sedgwick (Aarhus University), che ha generosamente condiviso con me le sue ricerche su Gurdjieff e il Sufismo.
[2] “In lontananza, si sentiva il rumore ovattato di un grande tamburo, minaccioso come un avvertimento dall’Invisibile. La strada polverosa brillava al sole che splendeva direttamente sopra Schimran (la città in Persia dove si trovava l’autore). Il ritmo del tamburo si avvicinava lentamente e incessantemente risuonavano le grida ‘Sha-ssé… Wah-ssé’: Shah Hussein… Il corteo divenne visibile e sopra la massa di persone tre grandi bandiere sventolarono. Uno dei nomi di Ali era scritto in grandi lettere dorate su uno sfondo di velluto nero. Sul secondo si vedeva una grande mano, la mano della figlia del Profeta, Fatima, sia benedicente che minacciosa. Sul terzo, così grande da oscurare quasi la vista dei cieli in alto, proprio ‘Hussein’, il nipote del profeta. La folla procedeva lentamente per la strada con in testa i penitenti, vestiti con abiti neri a lutto, ma con la schiena scoperta, e con pesanti catene nelle mani che venivano frustate sulle spalle sanguinanti al ritmo del tamburo. Dietro di loro camminava un ampio semicerchio di uomini dalle spalle larghe, che facevano due passi ritmici avanti e uno indietro. Ad ogni passo, il loro canto ‘Sha-ssé… Wah-ssé’ si alzava e battevano i pugni serrati contro il petto nudo e peloso. Erano seguiti da Martiri – in vesti bianche, come quelle dei morti, con il capo profondamente chino – con la testa rasata e lunghi pugnali in mano, i volti chiusi e scuri come se guardassero in un altro mondo. ‘Sha-ssé… Wah-ssé’. Ad ogni grido, i pugnali lampeggiavano alla luce del sole e cadevano sui loro crani rasati, il sangue scorreva sulle loro vesti bianche. Uno di loro cadde a terra ed fu subito trasportato via dalla folla.
[3] È interessante che Lefort (1966) sia stato preso sul serio da molti autori, incluso il teosofo Paul Johnson, che nel suo Madame Blavatsky: ‘The Veiled Years’, (1987), ha sostenuto che “Dal momento che i sufi moderni affermano che Gurdjieff sia stato addestrato nelle scuole Sufi per una missione in Occidente, è necessario un esame della possibilità che anche H. P. B. fosse in debito con i sufi” (1987: 8).
[4] Questo atteggiamento era condiviso da Gary Chicoine (nato nel 1942) che, come “Rishi Dada Narayana” inviò una lettera all’Istituto di Bennett a Sherborne nell’agosto 1977 (Rawlinson 1997: 203). Si presentò come un insegnante della fonte originale di Gurdjieff e affermò: “L’intera via di Gurdjieff è veramente defunta” (Thompson, 1995: 549).
[5] Johanna Petsche, comunicazione personale, 7 maggio 2013.
[6] C’è un altro importante progetto da intraprendere, per raccontare e analizzare il difficile, si potrebbe dire ostile, rapporto tra Gurdjieff e i suoi allievi, e il suo contemporaneo più giovane, il tradizionalista e Sufi, René Guénon (1886-1951) e i suoi allievi. I tradizionalisti hanno una visione molto negativa di Gurdjieff; Whitall N. Perry, ad esempio, dice dell’Esercizio dello Stop che “è molto lontano dalla cessazione rituale del movimento praticata in danze come quelle dei dervisci Mevlevi e degli indiani d’America, dove i flauti, il canto e i tamburi si fermano inaspettatamente su un’esplosione sonora tra due istanti, e la danza evapora nel Vuoto. È il momento della morte, la fine del ciclo cosmico” (Perry 1978: 55). L’atteggiamento di Perry nei confronti di Gurdjieff è inequivocabile; è un “mago nero”. (Perry 1978: 74-75).
Muhammad Afzal Upal & Carole M. Cusack - Handbook of Islamic Sects and Movements