Questo saggio è tratto dagli atti della Conferenza Internazionale di Studi Umanistici ALL & EVERYTHING del 2003.
Ciò che Gurdjieff mi ha dato è stata l’immagine e il funzionamento di un “uomo normale”. In un certo senso sono “nato e cresciuto nel lavoro”. Cioè, mia madre e tutti coloro che hanno avuto un ruolo paterno nella mia educazione: Jean Toomer, con il quale ho vissuto per un periodo considerevole come membro della sua famiglia, Nick Putnam, con il quale ho trascorso molto tempo nel Connecticut e New York City, i seguaci di Orage, Sherman Manchester e Daly King, esercitarono le idee di Gurdjieff al punto che per diversi anni mi sembrarono una regola di condotta invece che un'eccezione.
Ricordo molto poco consapevolmente del tempo trascorso con Gurdjieff al Prieuré e a Parigi, o del tempo trascorso con Orage a Londra, ma dal dicembre 1948 sono stato in continuo contatto e in compagnia di coloro che avevano vissuto con Gurdjieff. In breve, ciò che Gurdjieff mi ha dato mi è arrivato attraverso i due canali interconnessi dei suoi allievi personali e di se stesso. Entrambi i canali trasmettono lo stesso messaggio, ma Gurdjieff stesso era la “cosa reale”; cioè, incarnava le idee che gli altri potevano solo seguire.
Conoscere Gurdjieff “nella pelle” - come diceva lui stesso - m'impressionò ben oltre le testimonianze dei suoi insegnamenti e scritti sistematici. Gurdjieff mi disse (e includo nel “me” tutti gli altri in sua presenza in quel momento) di non fidarmi mai di me stesso finché non avessi conosciuto me stesso. Mi suggerì di chiedermi chi fossi ogni volta che prendevo una decisione o avevo un giudizio.
"Fino a quando non scoprirai chi non sei, non potrai iniziare il viaggio per scoprire chi sei".
Gurdjieff mi rese profondamente consapevole delle mie molteplici identità. Qualunque cosa gli dicessi, nei suoi occhi si poneva la domanda: "Sai chi sta dicendo queste parole?"
Dubita di te stesso, insegnava, e ogni volta che sento che le emozioni governano le mie azioni, devo chiedermi quale centro in me ha il controllo. Gurdjieff mi trasmise un senso di urgenza nel sapere come concentrarmi, non solo mentalmente, ma allo stesso tempo psichicamente, fisicamente e razionalmente. M'insegnò a sentire qualsiasi parte del mio corpo in un dato momento, e che la consapevolezza è controllo. La consapevolezza del dolore, ad esempio, sembrava facilitare la comprensione delle sue fonti. Prendere le pillole significava abdicare alla responsabilità di alleviare, non eliminare, il dolore attraverso la forza di volontà. Si può imparare di più dal dolore che dal piacere. Il mio primo ricordo di Gurdjieff riguarda quando mi lanciava dei biscotti dalla veranda del Prieuré, perché lo assillavo per avere dei dolci mentre prendeva il tè o il caffè pomeridiano. Con i biscotti lanciava insulti: "Bolda, Svoloch!" (Stupido, Canaglia!). Da quel momento imparai che alle parole non dovrebbe essere concesso il potere di ridurre o di abolire i piaceri materiali. Più tardi, da giovane, Gurdjieff mi insegnò che nulla doveva disturbarmi a meno che non lo lasciassi fare. Ma la lezione derivante dall'assistere alle sue reazioni alle circostanze fu per me d'insegnamento più di ogni altra cosa. Era in grado di non sentire cose che avrebbero potuto mettere a dura prova la sua pazienza o fargli perdere tempo. Era in grado di non provare dolore o disagio. Nel suo insegnamento diretto mi consigliò di evitare a tutti i costi di fare ciò che si aspettavano da me mia madre e i miei insegnanti di scuola. Se mi fossi concentrato a soddisfare le aspettative di essere ciò che gli altri volevano per il loro bene, per realizzare i loro piani per me, avrei rischiato di perdere le mie possibilità di diventare ciò che sarei potuto diventare. L’istruzione è una fabbrica che produce servitori per un sistema sociale, quando dovrebbe essere, come lo era una volta, una via verso la realizzazione di sé. Disse che il suo insegnamento non era dedicato a cambiare il "reale" di qualcuno oggi, ma a risvegliare in lui un potenziale che avrebbe potuto sviluppare nel futuro. Gurdjieff diede ai suoi allievi un mezzo per sviluppare il potenziale. Un passo nel processo fu l'analisi coscienziosa del proprio falso "io". Il proprio "io reale" è percepibile, diceva, solo quando tutti i falsi "io" sono stati smascherati e disdegnati. Ciò che poi resta è la propria Essenza. Quindi bisogna imparare a riconoscere il falso per trovare il reale. Un metodo per scoprire il falso è interpretarlo, interpretare il ruolo che si pensa sia il vero sé.
"Interpreta quello che pensi di essere e vedrai quanto superficiale è quel ruolo".
Ricordo che diceva che il modo migliore per vedere me stesso era osservare e assumere la sua percezione di me. Gurdjieff insegnò queste cose e le parole che usò furono comprese in tanti modi diversi a seconda delle persone che le udirono. Sapeva che ero incapace di una “comprensione oggettiva”, ma diceva che avrei potuto realizzare coscienziosamente quali fattori nella mia coscienza determinassero la mia comprensione. Tali precetti vengono facilmente ripetuti in varie forme a un vasto pubblico con effetti diversi. Ciò che li rende particolarmente risonanti per me è l'esempio dell'uomo stesso. Conoscere Gurdjieff personalmente è stata un'esperienza che dà al suo insegnamento una forza che non riesco ad esprimere a parole. Gurdjieff era, allo stesso tempo, sia l'esempio, sia la negazione dell'esempio di tutto ciò che insegnava. Per me era una figura dostoiesvkiana, uno che rivela la verità mostrando il falso. Sembrava demoniaco, ma suggeriva che sebbene Dio possa interpretare il diavolo, il diavolo non può interpretare Dio. Aveva un aspetto trasandato, si vestiva in modo disordinato, fumava e beveva con evidente eccesso, senza alcuna dimostrazione di maniere raffinate. Imprecava, sbraitava e insultava. Non aveva la minima pazienza, interrompeva il discorso degli altri come se non avessero detto nulla. Una volta, giunto a un passaggio a livello con le sbarre abbassate, si limitò a voltarsi e a guidare nella direzione opposta a quella in cui intendeva andare, proprio per evitare l'attesa. Arrivò finalmente a destinazione come se non ci fosse né l'ora né il giorno previsti per l'arrivo. Non prenotava in anticipo né le stanze né i tavoli da pranzo, ma otteneva sempre il servizio, in un modo o nell'altro. La sua dimostrazione di non controllo era un controllo sublime! Manifestava rabbia per le sciocchezze e trattava i disastri come divertenti sciocchezze. Mostrava le emozioni negative come giocattoli di una positività incrollabile. C'erano lezioni da trarre da un simile comportamento, e trovare la lezione era di per sé una lezione. Per me, che ero giovane, Gurdjieff era tutto, ma in nessun momento potevo essere sicuro di cosa fosse. Era un esempio di tutte le cose che si potrebbero essere. Nella memoria rimane l'essere umano più completo che abbia mai conosciuto o che abbia potuto concepire.
Professore di Lingue e Letteratura Inglese Medievale all'Università di Ginevra, Paul Beekman Taylor ha scritto tre libri su Gurdjieff: "Shadows of Heaven: Gurdjieff & Toomer" (Weiser, 1998), "Gurdjieff and Orage: Brothers in Elysium" (Weiser, 2001), e più recentemente "America: Mediating the Miraculous di Gurdjieff" (Lighthouse Editions, 2004).
Fonte: What did Gurdjieff give to me? What did he ask of me? - Paul Beekman Taylor (Gurdjieff International Review)
