Nel piccolo villaggio di Akşehir, dove la saggezza di Mullah Nasreddin era un misto di burla e illuminazione, viveva un mercante di nome Mehmet. Mehmet era un uomo di mezz'età, ben vestito e dotato di un naso... molto sensibile. La sua lamentela preferita, un vero e proprio tormentone che recitava a chiunque, riguardava la puzza.
"Questo villaggio è un letamaio!" tuonava, agitando le mani con disgusto. "Ogni angolo è corrotto dalla puzza di concime, di fatica inutile, di discorsi vuoti! È tutto letame, ve lo dico io! Puro sterco che ci soffoca!"
Ma c'era qualcosa di strano in Mehmet.
La mattina, mentre si lamentava rumorosamente della puzza di letame nel cortile del vicino, lo si trovava seduto comodamente proprio accanto al cumulo, la pipa in bocca, inspirando profondamente. Quando criticava il letame della piazza del mercato – i pettegolezzi, i discorsi inutili, le chiacchiere dei sensali – era sempre la persona più vicina a loro, le orecchie tese, intervenendo con un'osservazione estremamente critica.
E non si limitava a starci in mezzo. A pranzo, dopo aver definito il cibo del mercante come "nient'altro che un mucchio di letame", era solito prenderne un'enorme porzione, annusarla con aria di sfida e divorarla, per poi dichiarare agli astanti: "Beh, capite, sebbene sia letame, devo assaggiarlo bene. Non posso criticare una cosa se non conosco a fondo la sua... consistenza."
Un giorno, Nasreddin lo vide mentre stava finendo di mangiare il cibo che aveva chiamato sterco, con gli occhi chiusi, quasi in estasi.
"Amico Mehmet," disse Nasreddin, avvicinandosi con il suo asino. "Ti vedo seduto come un re sul tuo trono di fieno e concime. Ti trovo sempre nel mezzo delle cose che chiami letame, e mi pare che tu lo assapori più di un dattero maturo."
Mehmet, strofinandosi le labbra, rispose con il solito tono critico: "Mullah, è la mia croce! Io devo stare qui. Devo sentire questa puzza per poterne criticare la bassezza. Devo mangiare questa schifezza per capire quanto è cattiva. Io sono l'unico che si sacrifica per... la verità!"
Nasreddin si grattò la barba, i suoi occhi brillavano di malizia.
"Capisco," disse. "Quindi, tu sei come l'ape che deve entrare nel fiore per poter dire che... be', che il nettare puzza. Ma dimmi, Mehmet, se il fiore è così disgustoso, perché le tue gambe ti portano sempre dritto lì?"
"È per dovere!" esclamò Mehmet
"Ah, per dovere!" ripeté il Mullah, annuendo solennemente. "Allora ho un suggerimento, in nome di questo sacro dovere."
Nasreddin prese un grande cucchiaio di legno che aveva nascosto nella sua sacca e lo porse a Mehmet.
"Dato che sei costretto a consumare tutto questo 'letame' per criticarlo, e dato che lo trovi così 'odoroso' al punto da stargli sempre vicino... da oggi in poi, non limitarti a mangiarlo in segreto o a nasconderti vicino. Porta questo cucchiaio con te. Ogni volta che sei in un luogo che chiami letame, o assapori qualcosa che definisci sterco, usalo con gran pompa. Mostra a tutti la tua coerenza! Devi essere orgoglioso del tuo sacrificio."
Nasreddin si chinò e sussurrò: "E quando sentirai che è abbastanza, e che hai criticato abbastanza a fondo la consistenza, non devi far altro che lavare il cucchiaio e usarlo per il tuo vero cibo. Quando vedremo il cucchiaio pulito, sapremo che hai finalmente finito di 'studiare la puzza' e sei pronto per profumi migliori. Fino ad allora... goditi la tua Dieta del Dovere."
Mehmet rimase con il cucchiaio in mano, il viso tinto di rosso. Capì immediatamente l'ironia amara: Nasreddin non lo stava accusando di letame, ma di ipocrisia. Stava godendosi esattamente ciò che criticava, ma non poteva ammetterlo perché la critica era la sua unica, misera forma di prestigio.
Da quel giorno, Mehmet era ancora il primo a criticare le cose come "letame". Ma stranamente, le sue apparizioni in mezzo ai pettegolezzi e vicino ai mucchi di concime diminuirono. E se per caso lo si vedeva, teneva il cucchiaio di legno nascosto dietro la schiena.
