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Canto e Preghiera: Ricordare Dio e il "Ricordo di Sé" (Dimitri Peretzi)


Durante una visita al Monte Athos negli anni '80, mi capitò di trascorrere una notte nel monastero di K. vicino al villaggio di Karies, che è la capitale amministrativa del Sacro Monte. Arrivai al monastero a piedi, nel tardo pomeriggio. Quando entrai, fui accolto dal monaco responsabile degli ospiti. Mi offrì un bicchiere d'acqua e un dolcetto, ma poi, senza aggiungere altro, scomparve e mi lasciò solo ad aspettare nell'"arhontariki", il piccolo edificio in pietra accanto al muro vicino al cancello. I mobili erano semplici, fatti di legno massiccio. Sul muro c'era un'iscrizione entro una piccola cornice che diceva:

"Per rinascere bisogna prima morire".

Dalla finestra si vedeva il cortile, un enorme spazio rettangolare. Portavo le mie cose in un sacco, e finché non mi fu mostrato dove poter passare la notte, iniziai a leggere un libro della chiesa che era lì, sul tavolo. Riguardava la musica bizantina e il rituale della liturgia ortodossa. Ricordo che rimasi colpito dalla qualità del testo e dall'autorevolezza che sprigionava lo stile dello scrittore. Mentre leggevo mi venne in mente la questione dell'"arte oggettiva" di Gurdjieff. In che misura i salmi bizantini sono "oggettivi"? Rievocano le stesse identiche emozioni a tutti gli ascoltatori, indipendentemente dalla loro istruzione o dal loro background? E addirittura indipendentemente dal loro orientamento religioso? La musica bizantina può essere considerata di per sé uno strumento di evoluzione spirituale? All'improvviso si udì qualche rumore al cancello. Dalla finestra vidi un grosso carro carico di mattoni trainato da due cavalli. Gli zoccoli degli animali facevano molto rumore sul cortile acciottolato. I monaci, a quanto pare, lo stavano aspettando. Molti uscirono dagli edifici tutt'intorno e cominciarono a scaricare. Due di loro vi salirono sopra e cominciarono a disporre i mattoni in mucchietti; gli altri raccolsero le pile e le portarono all'altra estremità dello spazio aperto. Era l'inizio dell'inverno. La grande vite sopra il cortile aveva perso le foglie. Il cielo era limpido e il sole era ancora caldo. Andai ad aiutare e iniziai a trasportare i mattoni assieme al resto dei monaci. Ci volle più di mezz'ora per scaricare il carro. Mentre stavo lavorando, vidi un imponente vecchio monaco in cima a una scalinata di pietra lì vicino. Era uscito e stava osservando, supervisionando il processo. Doveva essere l'abate. Da lontano vidi il suo sguardo cadere su di me. Sorrise. Una volta terminato il lavoro, i monaci si dispersero. Il vecchio era ancora lì. Ed ora eravamo soli nel cortile. Presi coraggio e mi avvicinai, salii le scale e lo salutai.

– Mi benedica, Padre.

Mi sorrise nuovamente.

Gli dissi che c'era qualcosa che avrei voluto chiedergli. Il suo atteggiamento era molto amichevole. La mia mente era piena di ciò che avevo appena letto sulla musica bizantina e delle mie domande sull'"arte oggettiva". La musica della Chiesa ortodossa è "arte oggettiva"? Cercai di far capire la mia domanda al vecchio monaco, ma continuava a sorridermi. Deve aver pensato che il mio approccio fosse troppo intellettuale, e che esprimessi idee senza emozioni. Ma lui sembrava ben disposto e mi diede la possibilità di riformulare la mia domanda due o tre volte prima che ci capissimo. Alla fine trovai il modo di esprimermi.

– Mi dica, Padre, ascoltare la musica liturgica ortodossa può aiutare qualcuno nel suo sforzo spirituale?

– Certo, cantare aiuta. Ma aiuta molto di più se mentre si canta, si prega allo stesso tempo!

A causa del modo in cui mi parlò, accadde qualcosa nella mia mente e compresi in profondità cosa intendesse. Per cominciare, compresi che potevo calmarmi e rilassarmi. Il vecchio era paziente e voleva che comunicassimo. Questo mi diede gioia. Mi resi conto che era pronto ad espandere la discussione oltre i discorsi teorici; era disposto ad esprimersi attraverso la sua esperienza. Ad ogni modo compresi cosa intendeva, ovvero che quando qualcuno canta e allo stesso tempo si concentra sulla preghiera, può ricevere una grande forza. Mi sembrò che l’importanza fosse nella parola "pregare". Cosa intendeva esattamente? Intendeva "ripetere le parole della preghiera" o "essere nello stato di preghiera"?

- Mi Perdoni, Padre. Quando diciamo "pregare" cosa intendiamo esattamente? Intendiamo, per caso, ricordare Dio?

All'improvviso, il suo sorriso si fece più ampio, molto più ampio. Mi sembrò che quell'uomo fosse felice quanto me di averlo compreso.

- Sì! Rispose. Pregare significa ricordarsi di Dio!

Compresi esattamente cosa intendeva. La mia mente era aperta. Assorbii le sue parole. In quel momento, sentii di aver imparato a livello profondo qualcosa che non avrei mai più dimenticato. Il vecchio mi aveva dato più di quanto avevo chiesto! Ciò che intendeva, ciò che voleva dirmi, lo avevo sentito nel mio corpo. Tuttavia, la mia mente insisteva per avere una conferma.

- Mi Perdoni, Padre - dissi nuovamente. Quando diciamo "ricordare Dio", cosa intendiamo? Intendiamo "ricordare se stessi"?

Con mia grande sorpresa il suo sorriso si fece ancora più ampio. L'uomo mi stava mostrando il suo cuore. Provai gratitudine ancor prima di sentire la sua risposta.

- Sì! Esattamente! Ricordare Dio significa ricordare te stesso! Ma dobbiamo conoscerci bene e devono passare molti anni prima di poter parlare in questo modo. Vieni di nuovo al monastero!

Si voltò, salì i pochi gradini fino alla porta dalla quale era comparso, entrò e scomparve. Rimasi stupito, sbalordito. Avevo compreso il significato di ciò che aveva detto a un livello profondo, un livello al quale avevo comunicato solo con poche persone. La sensazione che avevo dentro durò per molte ore. Restai sveglio tutta la notte. È davvero così semplice dire che "ricordare Dio" equivale a "ricordare se stessi"? Non lo è, decisamente no. È impossibile parlare di Esperienze Superiori in relazione a "Dio" e al "Sé" senza correre il rischio di degradare l'intera questione e portarla al livello della nostra comprensione comune e quotidiana. Ma allo stesso tempo è inutile non correre questo rischio. È inutile evitarlo per paura di essere fraintesi. Se vale la pena comunicare il significato e il contenuto delle esperienze rivelatrici nascoste nelle descrizioni dei santi del nostro mondo - il patrimonio dei loro stati spirituali che appartiene a tutti noi - allora dobbiamo cercare la verità oltre la superficie, le differenze sociali create dalle parole e dalle aride descrizioni intellettuali della mente. La pratica del Dhikr è per i Sufi, i mistici dell'Islam, la pietra angolare del loro sforzo per lo sviluppo spirituale. Nella teologia islamica, il Dhikr è indicato come "Ricordare Dio". Si potrebbe dire che il Dhikr è la pratica di ricordare Dio "adesso"; è l'esperienza di rivolgere la propria attenzione verso ciò che si percepisce come "Dio" nel momento dello sforzo. Questa è una nozione molto basilare nell'Islam esoterico.

"Ricorda Dio finché non dimentichi te stesso". (Aforisma dei Sufi)

Il Profeta disse che la differenza tra chi pratica il Dhikr e chi non lo pratica è la stessa differenza che c'è tra i vivi e i morti. (Abu Mousa al-Ashari, compagno del Profeta)

Allah disse: "Ricordati di me e io mi ricorderò di te". (Corano, 2:152)

Nelle lingue occidentali contemporanee la parola "Dhikr" è menzionata anche come "Thikr", come "Zikr", come "Dhekr", e perfino come "Zerk". Ma per quanto chiaro e semplice il suo significato possa sembrare a prima vista, comprendere l'intera profondità del "ricordare Dio" richiede devozione e sforzo persistenti. La realizzazione di questo concetto riguarda uno stato dell'essere molto più sostanziale del ricordare semplicemente un'altra parola o del riportare soltanto alla mente un'esperienza. Riguarda l'approccio stesso al regno del sacro; ha a che fare con l'esperienza di avvicinarsi a Dio, proprio adesso. Da un vecchio libro sufi: "Nel viaggio che raggiunge la presenza di Dio, il seme del ricordo dev'essere piantato nel cuore e annaffiato con l'acqua della preghiera e il nutrimento della glorificazione di Dio, finché l'albero del Dhikr non sviluppa radici forti e porta frutto. Questo è il potere del viaggio e il fondamento di ogni realizzazione. Ciò risveglia l'uomo dal sonno dell'oblio; è il ponte verso Colui che ricorda". Gli sceicchi lottano per ricordare Allah in ogni respiro, poiché gli angeli sono incessantemente nella condizione del Dhikr, glorificandolo. Se il ricercatore ricorda il suo Signore in ogni momento, troverà appagamento e tranquillità nel suo cuore... e si ritroverà alla presenza del suo Signore. Il Profeta disse: "Gli uomini del Dhikr sono gli uomini della mia presenza". È interessante notare che la pratica del Dhikr non è uniforme; non è sempre descritto allo stesso modo. In realtà, bisogna distinguere tra diversi "tipi di Dhikr". Esiste il "Dhikr silenzioso", in cui le labbra non si muovono. Ecco, ricordare è "mentale". Lo scopo di questa azione spirituale, che per molti è identica alla "Preghiera di Gesù" cristiana, è che la "preghiera" venga ripetuta "a memoria" ritmicamente, continuamente, fino a uscire dalla mente e giungere alla realtà che "sgorga dal cuore". Esiste anche "cantare il Dhikr", la cui pratica riguarda il canto monotono, individuale o di gruppo, di alcuni salmi, che esprime principalmente le proprietà divine di Allah. Questo è spesso accompagnato da tutti i tipi di movimenti ritmici del corpo e della testa, e da metodi di controllo del respiro. Nell'ordine Mevlevi, i cosiddetti "dervisci rotanti", il Dhikr assume la forma di rituali musicali con danze e rotazioni. È ovvio che il vero significato del "ricordare Dio" va oltre tutte le descrizioni verbali. Si riferisce essenzialmente a una "condizione", o a uno "stato raggiungibile dalla mente", che il fedele ricerca, e al quale finalmente si abbandona, si lascia conquistare. Come è stato scritto: "Miei amati, comprendete che per il fedele ricercatore (murid) questo ricordo è il pilastro per raggiungere Allah. Questo è la via". Con tutto il rispetto richiesto per non spazzare via indiscriminatamente le differenze esistenti e ben reali tra le grandi tradizioni spirituali del Cristianesimo e dell'Islam, fatto sta che si possono facilmente discernere i parallelismi tra il "Dhikr" e la pratica cristiana della "Preghiera di Gesù". Se consideriamo queste due come funzioni specifiche della mente, e non come dogmi, si può dire che sono identiche, che sono la stessa cosa.

"Raccogli la tua mente dispersa ricordando Gesù Cristo". (San Filoteo del Monte Sinai, Filocalia, vol. II, pag. 283).

"L'esperienza mistica, che è inseparabile dal cammino verso l'unificazione, non può realizzarsi altrimenti che nella preghiera e attraverso la preghiera". (Vladimir Lossky)

"Metti nella preghiera il peso maggiore della tua fatica, perché è questa che ci mantiene in contatto con Dio e questo contatto dev'essere continuo". (Padre Paisios)

"Attraverso la preghiera la mente ritorna al cuore e ricordare Dio procura un dolce piacere". (Testo pubblicato dal Santo Monastero di Koutloumousiou)

Al fondo di queste pratiche, islamiche e cristiane, sembra esserci un denominatore comune, lo sforzo di ricordarsi di Dio. Questo è il tentativo dei praticanti di avvicinarsi a un livello più alto dell'essere che esiste dentro di loro, a un livello che ognuno percepisce a suo modo come più alto del mondo della sua realtà quotidiana. Stiamo parlando qui della ricerca dell'uomo per avvicinarsi alla sua natura superiore. Perché è ovviamente impossibile per "l'uomo avvicinarsi a Dio" senza che lui "partecipi al livello superiore dell'essere che esiste dentro di lui". Questi due aspetti, ""Dio nell'uomo"" e "il livello più alto dell'essere dell'uomo", sono necessariamente uno solo nel contesto dell'esperienza apocalittica. Se qualcosa non è raffinato nell'uomo stesso, gli è impossibile percepire qualcosa che va oltre il proprio livello quotidiano al quale normalmente opera la sua mente. Prima di percepire qualsiasi "unione con le forze superiori in lui", l'uomo deve innanzitutto risvegliarsi, deve entrare in uno "stato superiore dell'essere". Sofronios Zaharoff, nel suo libro "About Praying", pubblicato dal Santo Monastero di Timios Prodromos, fa riferimento al potenziale di sperimentare le distinzioni delle varie fasi della preghiera:

La prima fase è orale. La preghiera viene pronunciata attraverso le labbra, mentre cerchiamo di focalizzare la nostra attenzione sul Nome (di Gesù) e sulle parole (della preghiera).

La seconda fase è mentale. Non muoviamo più le labbra, ma pronunciamo mentalmente il nome di Gesù Cristo e il resto del contenuto della preghiera.

La terza fase è mentale-del-cuore. La mente e il cuore sono uniti attraverso le loro energie; l'attenzione è focalizzata nel cuore ed è qui che viene pronunciata la benedizione.

La quarta fase è auto-attiva. La preghiera è saldamente radicata nel cuore e, senza particolare sforzo di volontà, si pronuncia da sola nel cuore, attirando lì l'attenzione della mente.

La quinta fase è detta carismatica. La preghiera funziona come una tenera fiamma dentro di noi, come un'ispirazione dall'Alto, addolcendo il cuore attraverso il sentimento dell'Amore di Dio e attirando la mente alla contemplazione spirituale. A volte è accompagnata dalla visione della Luce.

L'idea della "ricerca di Dio" può riferirsi solo alla ricerca esoterica per raggiungere lo stato più elevato in cui la mente umana può funzionare. Le persone spesso adottano qualche punto di vista dogmatico su Dio, come ad esempio che "Egli esiste al di fuori dell'uomo" o, al contrario, che "Egli esiste dentro di lui". Ma non si può mai trascurare che la "ricerca di Dio" è necessariamente la "ricerca di sé". Affinché la mente possa veramente "ricordare Dio", dev'essere risvegliata al suo pieno potenziale. Affinché l'uomo raggiunga uno stato più elevato di quello in cui normalmente funziona la sua mente, qualcosa in lui deve cambiare, qualcosa nella sua mente deve andare oltre i suoi limiti abituali. È in questo contesto che la religione parla di "Grazia". Senza una "particolare possibilità" che si apra all'uomo, senza l’apparizione di una forza che arrivi alla sua coscienza ordinaria da un livello della sua mente al quale non ha accesso in circostanze normali, le cose rimarrebbero per lui perpetuamente "identiche al solito". Questa è la forza che i testi sacri chiamano "Grazia". Questa è un'"energia della mente" che esiste oltre il regno della personalità. Senza di essa è impossibile per l’uomo colmare la distanza che lo separa da "Dio". E allo stesso tempo è anche chiaro che senza il risveglio del potenziale per lo sviluppo spirituale sarebbe impossibile per l’uomo percepire questa possibilità. Da questo punto di vista le tesi dogmatiche e le teorie teologiche del tipo "l'uovo o la gallina", non hanno alcun senso. Poiché sono entrambi essenziali come elementi del progresso spirituale, è inutile discutere se "la grazia preceda il risveglio" o se "il risveglio preceda l'avvento della grazia". Dal punto di vista esperienziale sono una cosa sola. La verità è che tutti gli uomini hanno lo stesso potenziale. Rispetto ad altre forme viventi, le menti umane e la natura umana hanno la stessa complessità. Ne consegue necessariamente che simili sono i modi in cui le menti umane vengono stimolate e risvegliate alla possibilità di lavorare per lo sviluppo interiore, e di essere in grado di percepire la chiamata a percorrere il sentiero verso il livello interiore più elevato. Allo stesso tempo, anche se la realtà dell’avvicinamento al "regno di Dio" è carismatica, trascendentale e al di là della logica, è un dato di fatto che i teologi di tutti i dogmi tentano costantemente di parlarne. Cercano di descrivere le tappe che attraversa questo approccio e le fasi di esperienza che l'uomo affronta nel suo cammino interiore. "Ricordarsi di Dio" è un'esperienza uguale per tutti gli uomini. Nessuna religione è al di sopra della natura umana. La conclusione è abbastanza ovvia: tutti coloro che tentano di descrivere il risveglio interiore cercano di descrivere uno stato d'animo che è uguale per tutti gli esseri umani. Il tentativo di descrivere il percorso per l'unificazione con Dio è il tentativo di descrivere l'unica possibilità di sviluppo interiore. Va sottolineato che tale sviluppo non riguarda l'"io" né il suo miglioramento. Si tratta di un'esperienza, della possibilità di percepire l'unità interiore, di percepire una condizione trascendentale illuminata dalla luce unificante della coscienza. Questa conoscenza carismatica viene dall'"alto", dai "livelli superiori della mente" ai quali l'"ego", l'"io" o la "personalità quotidiana" non ha accesso. E, naturalmente, questo "ego quotidiano" non acquisirà mai tale accesso, poiché il regno della sua esistenza è il livello quotidiano degradato, il mondo del "peccato". Solo la mente risvegliata può raggiungere questo potenziale. Allo stesso tempo, resta il fatto che ogni tentativo di descrivere lo sviluppo interiore implicherà necessariamente qualche immagine della mente stessa e delle sue funzioni. Se, ad esempio, si parla di "pregare", significa che si accetta che "esiste la possibilità che la mente entri nello stato di preghiera". Per quanto semplicistica possa sembrare questa osservazione, s'intende sottolineare che per ogni immagine con cui si cerca di descrivere lo sforzo spirituale, ogni tipo di sforzo spirituale, egli propone anche una descrizione della mente. Cioè, suggerisce anche una struttura della mente. Quando si parla della "preghiera del cuore, dove l'energia della mente e l'energia del cuore sono unite" si suggerisce l'esistenza di qualcosa che possiamo chiamare "l'energia della mente", di qualcosa che possiamo chiamare "l'energia del cuore", e che "queste energie possono essere percepite, possono diventare oggetto di esperienza", che "uno può rendersi conto della loro esistenza dentro di sé e può osservarle esercitando una sorta di introspezione". Quando si parla delle "differenze tra chi pratica la preghiera e chi non lo fa" s'intende suggerire che queste differenze sono reali, che si possono percepire e che, in fondo, in qualche modo possono anche diventare oggetto di indagine filosofica e scientifica. Molti teologi di dogmi diversi potrebbero obiettare a tutto ciò. Potrebbero dire che quelle menzionate nei testi sacri sono "energie spirituali" che "non hanno nulla a che fare con la scienza o la filosofia". Ma non è necessario considerare che tali "energie" appartengono al regno della fisica convenzionale affinché qualcuno possa parlare di cambiamenti che può sentire dentro di sé, è sufficiente accettare che l'espressione "energie" fa riferimento a cambiamenti di eventi fisici che possono rientrare nel campo della sua percezione. Il semplice fatto è che le descrizioni "metafisiche" delle esperienze rivelatrici fanno parte della nostra tradizione umana. Da questo punto di vista, i concetti utilizzati in queste descrizioni seguono le regole del linguaggio e della logica. E almeno così possono effettivamente diventare oggetto di studio razionale. Questo è l'oggetto della "metafisica filosofica", questa è la ragione per cui continua il dibattito filosofico su temi come la "dualità" e il "monismo", e i teologi di tutti i dogmi si affrettano a parteciparvi. [...] Allo stesso tempo, va sottolineato che la solita "educazione" non è tanto uno strumento per la piena comprensione di esperienze che implicano uno sviluppo spirituale. La ragione di ciò è che tali esperienze implicano la sensazione reale di "energie della mente" che vanno oltre l'intellettualizzazione, per esempio quelle del coinvolgimento emozionale. Queste sono forze ed energie reali della mente che non possono essere riprodotte semplicemente parlandone. Ciò che è essenziale, affinché la comprensione possa svilupparsi nel cammino spirituale, può essere portato solo dalla sottomissione emotiva volontaria alla forza unificante che è superiore al solito "io". Non fa differenza quale nome si dà a questo potere supremo nella mente, se lo si chiama "volontà di Dio", "Allah", "Gesù Cristo", o anche "sé superiore", "karma", "dharma" o “Tao". Che senso ha usare le parole e parlare di un "Dio personale" o di "Dio come spirito universale", se la parte dentro di noi che usa tali concetti è il solito "ego", la personalità con cui conduciamo discussioni teoriche? Se il desiderio di colmare la distanza tra ciò che è "inferiore" e ciò che è "superiore" non viene vissuto come un reale bisogno in se stessi, e se la persona non ha deciso consapevolmente di servire questo bisogno attraverso le necessarie lotte e il necessario sacrificio dell'"io ordinario", tutto ciò che dice sullo "sviluppo spirituale" resta teorico, senza contenuto sostanziale. Per rinascere bisogna prima morire. Un'immagine serve alla conoscenza meglio di mille parole. Un momento di silenzio interiore serve alla conoscenza meglio di mille immagini. La via di Dio va nella direzione della ricerca dell'unità nella nostra esperienza di essere umani. È la ricerca di questa unità che può dare significato e illuminare il cammino dello sviluppo spirituale. Il vescovo di Diokleia, Kallinikos, scrive: "La montagna ha una sola cima, anche se ci sono molti sentieri che conducono ad essa. Come cristiano, credo che tutta la verità esista solo nel cristianesimo, solo nella fede di Gesù Cristo. Ma credo che Dio parli al cuore di tutti gli uomini, e quindi credo che ci sia una vera rivelazione di Dio, imperfetta ma autentica, anche nelle altre grandi religioni. Quindi credo che anche loro seguano strade che li porteranno in alto. E poiché la montagna ha una sola cima, noi che saremo fedeli alla nostra via, finché rispondiamo alla luce che ci è stata data, tutti c'incontreremo lì".



Fonte: Remembering God, Remembering the Self (Dimitri Peretzi; Gurdjieff Club)





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